La Banda della Magliana (prima parte)

Mangiafuoco” è una radiofiction: il primo programma narrativo di Radio1. Il fatto del giorno, raccontato in forma di dramma da tre sceneggiatori. Sandrone Dazieri è l’anima noir, Camilla Baresani è quella emotiva e sociale, Angela Mariella è la garante della cronaca. Dopo aver sceneggiato e condotto la vicenda di Emanuela Orlandi, abbiamo deciso di trascrivere quanto trasmesso per quattro puntate dalle frequenze di Radio1 e riportarle fedelmente in questo Blog. Ringraziamo tutta la Redazione di “Mangiafuoco“.

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Condotto da: Angela Mariella, Sandrone Dazieri e Camilla Baresani. Regia di Luca Raimondo. In redazione: Mimmi Micocci, Maria Cristina Cusumano, Laura Nerozzi e Cristiana Affaitati. A cura di: Angela Mariella.

Mangiafuoco

Prima puntata. Mangiafuoco del 04 dicembre 2017

Le porte stanno per aprirsi ad un regno assetato di sangue, è un regno criminale che ha governato Roma e l’Italia per vent’anni e gli effetti si sentono ancora oggi. Tutto è cominciato nel 1976 con un sequestro di persona finito male, la parola fine l’hanno scritta nel 1996 gli uomini della polizia e il tribunale di Roma: cinque secoli di carcere per 88 imputati. Sono i fortunati finiti dietro le sbarre invece che crivellati di colpi. Chiusero, quell’anno, la loro carriera criminale con una decina di ergastoli e svariate quantità di prigione, gioventù bruciate nel cuore degli anni perché quando il maxiprocesso finisce, i criminali della capitale sono nel mezzo del cammino della loro vita infernale, tra sconti di pena e trattamenti speciali quando usciranno, e molti sono già usciti, avranno davanti un’altra vita. Ma non tu tutti volteranno pagina, qualcuno era condannato ad allungare il proprio curriculum criminale.

Banda della Magliana
Banda della Magliana

Quello del 1996 è un mondo sospeso, dietro le spalle abbiamo la caduta del muro di Berlino e la fine di quello che viene chiamato il secolo breve, davanti, la tecnologia digitale che cambierà tutto. L’MP3 è già stato inventato ma l’industria musicale va a gonfie vele, la Motorola ha appena fatto uscire il cellulare Star Tac, quello a conchiglia, ma pochi se lo possono permettere, Video Online di Grauso è stata rilevata dalla Telecom che diventerà il primo provider internet italiano ma i modem vanno al massimo 56K. Insomma il futuro è dietro l’angolo ma non è ancora arrivato. Dal punto di vista criminale il 1996 è l’anno del barbaro omicidio di Giuseppe Di Matteo il figlio del pentito mafioso Santino Di Matteo, quindicenne, che viene strangolato e disciolto in una vasca di acido nitrico. Lo stesso anno viene arrestato Giovanni Brusca che era il mandante dell’omicidio nonchè l’esecutore materiale della strage di Capaci. Una notte di gennaio un terribile incendio distrugge il Gran Teatro La Fenice di Venezia e sempre parlando di disastri, comincia l’epidemia della cosiddetta mucca pazza. Un grave lutto per il cinema arriva dicembre, muore a Parigi Marcello Mastroianni per un tumore al pancreas, l’alter-ego di Fellini, nei suoi capolavori, aveva 72 anni.

Nel 1976 alcune città italiane erano attraversate da furiose scosse di estremisti, c’erano i neofascisti con la strage di piazza della Loggia (e le fasi processuali che poi andranno avanti in eterno) e quelli di sinistra con le prime occupazioni delle scuole superiori. Si parlava di stragi di Stato, dello scandalo Lockheed, di un’Italia che sembrava ferma, fissa tra un morto e l’altro assassinato dalle brigate rosse, o da ordine nuovo, o magari anche dalla polizia e intanto al governo si alternavano il quinto Moro e il terzo Andreotti. Le femministe manifestavano per l’aborto in tutta Italia e contro la violenza maschile, era appena finito il tremendo processo del tremendo stupro e assassinio del Circeo e mentre Renato Curcio veniva arrestato, mentre una magistratura di comico bigottismo condannava al rogo le copie del film di Bernardo Bertolucci Ultimo tango a Parigi, mentre l’azienda elvetica ICMESA provocava l’indicibile disastro di Seveso con la fuoriuscita di diossina e la zona recintata e l’esodo eterno delle famiglie i bambini malformati, mentre tutto questo scuoteva l’Italia, iniziava la lunga stagione della droga, dei ragazzi dipendenti dell’eroina, della meglio gioventù che si autodistruggeva. In quegli anni orribili chi non ha avuto amici o conoscenti o addirittura familiari risucchiati in una siringa? il traffico, il commercio, lo spaccio dell’eroina entravano prepotentemente nelle nostre vite oltre che, ovviamente, negli affari della malavita italiana.

Venti anni dopo è un’altra Italia, in un altro mondo c’è la seconda Repubblica che vagisce ma ancora non inizia a camminare, l’inchiesta Mani Pulite ha decapitato la vecchia classe politica, quella nuova è ancora appesa al seggiolone dei giudici di linea perché nell’ansia della rifondazione tutti litigano con tutti. Il muro è caduto, il nemico esterno è sconfitto e ora serve un nemico interno che non ci faccia rimpiangere sovietici e terroristi. Erano anni brutti, nelle strade si sparava e si moriva e dietro bandiere ideali c’erano interessi banali. Il prefetto Nicolò D’Angelo, oggi è il vice capo della Polizia, allora era il vice questore della squadra mobile di Roma, l’uomo che i protagonisti della nostra storia li ha visti nascere crescere e morire.

Nicolò D’Angelo

 dichiarazioni Nicolò d’Angelo

E sono gli anni in cui scoppiano le bombe nelle piazze, sui treni, alla stazione. Gli anni in cui si spara alle gambe davanti alle università e davanti alle banche, gli anni in cui l’Italia si riempie di buchi neri, buchi neri della storia che infila una dietro l’altra mille pagine misteriose: il delitto Moro, i casi Sindona, Calvi, Pecorelli, il rapimento di Emanuela Orlandi e una lunga teoria di stragi.

In tutti questi misteri gli uomini della nostra storia hanno svolto un ruolo, dall’esecuzione al depistaggio, sono entrati in tutti i misteri italiani ma hanno avuto un ruolo fondamentale nella strage che ha fatto più vittime di quel ventennio, una strage lenta e silenziosa che ha decimato un’intera generazione. Una strage senza bombe, senza pistole, solo siringhe, lacci emostatici e una polvere bianca venduta a dosi. Dopo la prima dovevi andare fino in fondo e in fondo c’era solo la morte. Di eroina in quegli anni è morta più di una generazione, è morto un segno, una visione, la possibilità di inventare un mondo migliore e fra gli autori di quella strage ci sono loro, che in quegli anni si sono arricchiti soprattutto con il traffico di droga. E la prima partita di droga è importante. La comprarono con i proventi di un sequestro di persona, un classico del crimine in quegli anni a Roma, dove spopola una bottega criminale che ha fatto dei sequestri di persona il suo marchio di fabbrica.

A Roma nel 1976 regnano i marsigliesi, tanto celebrati dal cinema noir, tanto spregevoli criminali nella realtà. Arrivati pochi anni prima in una Roma dove agivano criminali di piccolo cabotaggio divisi in bande e quartieri, sono i primi ad avere un’organizzazione che permette un controllo del territorio e che pensa in grande. I marsigliesi arrivano per lo più dal nord Italia, tengono rapporti con la Francia e con la Turchia da dove fanno arrivare gli stupefacenti e le sigarette di contrabbando, sono loro i responsabili della famosa rapina di via Montenapoleone a Milano del 1964 quando, guidati dal sindaco alias Jo Le Maire alias Giuseppe Rossi, svuotano una gioielleria armati di mitra. Verranno arrestati tutti dopo poco più di una settimana e la loro epopea sarà narrata anche da Dino Buzzati sulle pagine del Corriere. Uno degli organizzatori della rapina era un italo francese pluricondannato e pluri evaso, Albert Bergamelli, che, scappato da Torino, cerca aria migliore a Roma e stringe amicizia e complicità con il futuro boss della Magliana, Danilo Abbruciati ma soprattutto con altri due marsigliesi Maffeo “Lino” Bellicini e Jacques Berenguer. Dalle iniziali del loro cognome verranno chiamati la banda delle Tre B e si specializzano in sequestri. Ma il  sequestro più grosso verrà loro soffiato sotto il naso proprio della banda della Magliana. E’ quello di Massimo Grazioli Lante della Rovere che, anche se i titoli nobiliari erano stati aboliti dai tempi dei Savoia, continuava a farsi chiamare Duca.

Grazioli Lante della Rovere (Magliana)
Grazioli Lante della Rovere

Il nome Grazioli lo conoscete sicuramente, appartiene a un sontuoso palazzo del centro di Roma preso in affitto da Silvio Berlusconi che li ha fatto la sua residenza ufficiale e anche il centro della sua azione politica. Berlusconi paga l’affitto a Giulio Grazioli Lante della Rovere che ne è il proprietario e di cui vi parliamo perché è da una sua innocente chiacchiera che ebbe origine la sua tragedia familiare ma anche la base della ricchezza della banda della Magliana. E’ il sette novembre 1977, la banda sequestra il padre di Giulio, il Duca Massimo Grazioli. Il Duca, oltre a possedere l’immenso Palazzo e una sterminata tenuta alla periferia di Roma, quella dove avviene il sequestro è anche, come si dice, particolarmente liquido. Sua moglie, Isabella Perrone, ha appena venduto il quotidiano Romano Il Messaggero, i sequestratori chiedono 10 miliardi di lire. Il basista della banda, un allibratore di Ostia con cui Giulio, il figlio del Duca andava a caccia, aveva saputo dal ragazzo di questa vendita, la cifra richiesta per il riscatto era però iperbolica e le parti si accordarono per un miliardo e mezzo in biglietti da centomila lire. Nel marzo del 1978, quasi un anno dopo il sequestro, Giulio Grazioli consegnò il riscatto alla banda ma il padre non fece più ritorno a casa come invece gli avevano promesso. Queste le parole del figlio del Duca al Corriere della Sera 15 anni dopo il mancato ritorno di Massimo Grazioli  “aspettammo mio padre quella sera e poi la mattina successiva e poi ancora per mesi interi. Non torno più, mia madre non si è mai ripresa, si chiuse in casa e continuò ad aspettare. E’ morta nell’88 uccisa dal dispiacere”. Il Duca dunque, la preda giusta, i marsigliesi, all’apice del loro impero romano, hanno insegnato ai piccoli ma promettenti banditi locali, che i sequestri sono soldi facili, basta scegliere l’obiettivo, studiare le sue mosse, caricarlo in macchina, nasconderlo in un covo sicuro per qualche mese, il resto è un viaggio in discesa che finisce quasi sempre con una borsa piena di soldi da spendere o da investire. Ma è un lavoro che si fa in squadra, non è un gioco da cani sciolti, bisogna unirsi in un’alleanza in cui tutti si fidano e ognuno fa la sua parte.

Maurizio Abbatino “crispino”

Dichiarazioni Maurizio Abbatino

E’ questo il momento in cui, prima della preda, bisogna scegliere gli alleati, un momento cruciale per gli uomini della banda uniti in largo Grazioli sotto casa del Duca che sta compiendo le sue ultime gite verso la tenuta di famiglia. Maurizio Abbatino, tanti anni dopo, nel suo primo interrogatorio di polizia a Nicolò D’Angelo, quel momento lo ricorda così:

Dalle pagine del sito di Antonio Mancini lo stesso racconta così del rapimento: “…. la verità  che il sequestro fu organizzato e portato a termine dal gruppo del Trullo del quale facevano parte Marcello Colafigli, “Marcellone” Maurizio Abbatino “Crispino”, Renzo  Danesi “il Caballo”,  Enzo Mastropietro, “Enzetto” Franco” Giuseppucci ” il Negro” che ne era il leader e la mente, e altri di minore spessore criminale. Si dice e si scrive pure che il sequestro fu realizzato per

Antonio Mancini (Magliana)
Antonio Mancini

acquistare le armi per la nascente banda: Mah; a certi  giornalisti dovrebbero fare il doping o il test alcolico; altrimenti non si spiegano certe loro baggianate. Poiché la banda era composta da tutti uomini provenienti da batterie di rapinatori, non si capisce con che cavolo compivano le rapine prima delle presunte armi acquistate con il riscatto del  sequestro Grazioli; forse con fionde e tricche tracche? Ma fateci il piacere…! La verità nuda e cruda sul rapimento del  Duca, è quella raccontata da Maurizio Abbatino; ossia, che il sequestro se lo sono fatti e gestito loro del Trullo con l’aiuto del gruppo di Montespaccato che detenevano il  rapito. E che i soldi del riscatto se li sono divisi tra di loro e con  qualche lancio di cortesia ad alcuni detenuti di riguardo, per esempio Enrico ” Renatino” De Pedis al quale regalarono quindici milioni ed Enzetto Mastropietro, che partecipò soltanto alle prime fasi del rapimento ma non alla cattura, giacché tra la prima e l’altra azione, fu arrestato per altro reato, glie ne toccarono venti. Il  vero contatto reale, a parte quelli carcerari, tra il nucleo della nascente banda della Magliana e il gruppo del Trullo, ci fu dopo l’evasione dal  carcere romano di Regina Coeli da parte di Nicolino Selis il “Sardo, Edoardo Toscano l”Operaietto” e Giuseppe Magliolo il “Killer” e un’altra decina di  detenuti. E poiché i tre durante la loro latitanza furono aiutati dalla batteria del Negro, tra un discorso  e l’altro si scoprì che noi e loro avevamo un nemico in comune e così si decise di unire i gruppi. Ma il rapimento c’era già stato, i soldi se li erano steccati e dunque con quella faccenda la banda non c’entra una beneamata mazza. Questa  la storia vera e tragica del sequestro del Duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere che, nonostante un riscatto miliardario, non tornò mai più a casa, perché durante le fasi conclusive  del rapimento, uno dei carcerieri fece sbadatamente vedere il  suo volto. Tutto il resto sono chiacchiere da tipini fini o, per dirla con Franco Califano; ” Noia”.

Insomma fila tutto liscio, sta andando esattamente come i marsigliesi avevano insegnato, il duca è stato rapito, nascosto, spostato di covo in covo e si aspetta il riscatto. E il riscatto arriva ma qualcosa va storto, “…l’ostaggio viene spostato più volte e nel napoletano ha visto uno dei rapitori in viso e si è deciso di eliminare la persona sequestrata…”. Il duca muore ma il borsone carico di milioni è lì. Sul tavolo dell’alleanza è il momento di steccare in parti uguali ma è anche il momento in cui il destino criminale li mette di fronte a un bivio, dividere o unire, è questo il giorno del dilemma. Se sia più nobile separare le strade e rimanere teppisti di quartiere o allargare la via e costruire insieme l’autostrada per conquistare Roma. La soluzione del dubbio è il primo atto di una lunga mattanza.

TG1 annuncio morte De Pedis

Assassinio De Pedis (Magliana)
Assassinio De Pedis

Enrico De Pedis, ancor più che col suo nome, i giovani lo conoscono come il Dandy. Così è chiamato nella fortunata serie televisiva Romanzo Criminale, in realtà il suo vero soprannome era il presidente perché in uno dei suoi passaggi in carcere era stato nominato presidente della squadra di calcio dei detenuti. Nato nel 1954 a Trastevere, aveva iniziato la sua carriera come semplice scippatore, pur senza aver partecipato al sequestro del Duca Grazioli, aveva però ricevuto 15 milioni di lire dalla spartizione del riscatto quale componente della nascente banda della Magliana. Renatino era diverso dagli altri membri del gruppo, non beveva, non fumava, non tirava cocaina ed era fissato con auto, donne e case tutte ovviamente belle. Per circondarsi di tutta questa bellezza aveva un continuo bisogno di denaro che lo portò a stringere rapporti con il rappresentante di cosa nostra a Roma Pippo Calò. De Pedis non si è goduto la vita né da Dandy né da presidente, è morto a soli 36 anni assassinato nel centro storico di Roma dopo essere uscito dalla bottega di un antiquario, i suoi resti, grazie a chissà quali indicibili donazioni e corruzioni di prelati vaticani, sono stati tumulati fino al 2012 addirittura nella Basilica di Sant’Apollinare accanto alla scuola di musica frequentata da Emanuela Orlandi.

Franco Giuseppucci (Magliana)
Franco Giuseppucci “er negro”

Lo scrittore Giancarlo De Cataldo lo ha chiamato il libanese ma il vero soprannome di uno dei tre fondatori della banda era fornaretto o negro per via del lavoro che faceva da ragazzo e della sua carnagione scura. Si chiamava Franco Giuseppucci, trasteverino DOC, classe 1947, grande e grosso, poco desideroso di continuare a lavorare nella panetteria del padre, si era riciclato quasi subito come buttafuori e rapinatore ma aveva trovato la sua strada nella professione di armiere per gli altri criminali. In pratica, teneva pistole e mitra in custodia. Un giorno del 1976 però l’auto dove Giuseppucci il fornaretto tiene un borsone di armi viene rubata, scopre quasi subito che le stesse sono state vendute al complice di un criminale che sta facendosi una certa fama, si chiama Enrico De Pedis e quando lui e il fornaretto si incontrano è amore a prima vista.

Maurizio Abbatino
Maurizio Abbatino (Crispino)

Maurizio Abbatino detto crispino, cinematograficamente er freddo, è uno dei sopravvissuti, uno di quelli che ha rischiato l’asfalto tante volte, tante volte è caduto ma tante volte si è rialzato, oggi lui si definisce uno zombie, un morto che cammina. Nel 2015, qualche mese prima della retata di mafia capitale, lo Stato gli ha tolto la protezione che gli aveva assegnato a seguito di una confessione- pentimento. Due categorie della giustizia terrena che diedero il via nel 1993 alla soluzione finale, Abbatino racconta tutto nei minimi particolari e fa arrestare tutti quelli ancora in vita, fra loro c’è Antonio Mancini.

Crispino, dalla Magliana al trono della Capitale non c’è arrivato per caso, è stato uno dei primi a intuire rischi e opportunità di una leadership criminale condivisa dove si vince più con la strategia che con la tattica, con lo sguardo a domani più che a ieri e infatti l’incontro che gli cambia la vita è il risultato di una scelta in cui lui privilegia quello che potrebbe succedere a quello che è già successo, è il giorno in cui incontra Franco Giuseppuccier Negro”.

Dichiarazioni Maurizio Abbatino

Restituire le armi non era una scelta scontata ma per lui, che aveva lo sguardo lungo, in quel momento era la scelta giusta, tutto il resto è storia ancora da scrivere.

Spesso, gli assassini hanno la faccia da deficienti, soprattutto sulle foto segnaletiche, con gli occhi vuoti e l’espressione ottusa.

Nicolino Selis (Magliana)
Nicolino Selis “er sardo”

Nicolino Selis detto il sardo per via che era nato a Nuoro nel 1952, invece, ha lo sguardo da furbo e sorriso di chi sa ragionare bene e infatti, dopo essere stato apprendista, diciamo così, del boss Raffaele Cutolo conosciuto in galera, capisce che quella di don Raffaè una strategia vincente. Come Cutolo ha fatto a Napoli costruendo la nuova camorra organizzata, Selis vuole farlo a Roma mettendo insieme le varie batterie criminali in una federazione che tenga lontano le infiltrazioni esterne e permette ai suoi membri di non pestarsi i piedi a vicenda. Un’idea che si sposa con quella degli altri membri della banda della Magliana cui il sardo aderisce con l’omicidio di un allibratore, Franco Nicolini. Strana coincidenza quella del nome del primo con il cognome del secondo detto franchino il criminale. L’omicidio permetterà alla banda di mettere le mani sulle scommesse clandestine dell’ippodromo di Roma. Ci sono anche delle ragioni personali nell’omicidio, durante una delle detenzioni del sardo, franchino il criminale lo aveva preso a sberle di fronte agli agenti di polizia penitenziaria, un insulto che andava sanato nel sangue.

Danilo Abbruciati (Magliana)
Danilo Abbruciati “er camaleonte”

Anche a Danilo Abbruciati non è andata bene, la sua vita è terminata a 38 anni nel 1982, ucciso a Milano da una guardia giurata con un proiettile calibro 357 magnum mentre, seduto sul sellino posteriore di una moto, aveva appena sparato, ferendolo solo a un gluteo, al vice presidente del Banco Ambrosiano Roberto Rosone. Figlio di un pugile campione italiano dei pesi piuma negli anni del fascismo, lui stesso pugile però fallito, Abbruciati era nato a Roma nel 1944. Il suo primo arresto era stato nel 1975 per l’omicidio di un biscazziere, poi aveva fatto parte della banda di Francis Turatello, poi l’amicizia con De Pedis e l’apporto fondamentale ai crimini della banda della Magliana. Detto er camaleonte era un killer, un torturatore e vendicatore e un tessitore di alleanze con elementi di cosa nostra, con servizi segreti, con esponenti del neofascismo. (continua)

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