Storie di alti prelati e gangster romani

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Storie di alti prelati e gangster romani

STORIE DI ALTI PRELATI E GANGSTER ROMANI

I misteri della chiesa di Sant’Apollinare e il caso Orlandi

Autore Editore Data Pubblicazione Pagine
Rita DI GIOVACCHINO
FAZI Editore
2008 245

Prefazione di Nicola Cavaliere

22 giugno 1983. Emanuela Orlandi, una cittadina vaticana di quindici anni, sparisce vicino alla chiesa di Sant’Apollinare, dietro Piazza Navona. La capitale viene tappezzata da migliaia di manifesti con il suo ritratto e la scritta “Scomparsa”. Ma non si scompare nel nulla al centro di Roma. Qualcuno ha visto, qualcuno sa.
Sono passati venticinque anni da quel maledetto giorno e in tutto questo tempo la ragazzina non è mai stata ritrovata, né morta né viva. Eppure l’opinione pubblica non l’ha dimenticata perché il suo non è solo un caso di cronaca, ma un enigma insoluto, forse la summa dei grandi misteri italiani. Anno dopo anno si è arricchito di tanti, forse troppi, scenari e attori: Marcinkus e lo ior, Ali Agca e i Lupi Grigi, il kgb.
Nel giugno del 2008, però, si apre una pista inaspettata: Sabrina Minardi – ex moglie di un famoso calciatore ma soprattutto amante storica di Enrico De Pedis, capo della Banda della Magliana – dichiara che Emanuela è stata rapita dal boss su ordine del vescovo Marcinkus e, in una seconda fase, uccisa e gettata in una betoniera. Strana coincidenza: De Pedis, ammazzato nel ’90, è stato sepolto (in mezzo a cardinali, principi e artisti) proprio in quella chiesa di Sant’Apollinare da cui tutto sembra essere cominciato…
Nessuno finora era riuscito a riannodare i fili che legano la scomparsa della Orlandi a quegli oscuri poteri che all’inizio degli anni Ottanta sembravano convergere in un’unica struttura politico-criminale, tanto potente da aver allungato i suoi tentacoli fin dentro il Vaticano.
Una trama degna di una spy story che intreccia politica e alta finanza, mafia e spionaggio internazionale, in cui la figlia di un semplice commesso pontificio diventa il tassello mancante nel mosaico delle forze occulte dell’epoca. Un Grande Ricatto che legò prelati, boss e banchieri in una delle pagine più torbide della nostra storia recente.

A venticinque anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, un’avvincente ricostruzione – a metà strada tra l’inchiesta giornalistica e il romanzo – di uno dei grandi misteri italiani ancora irrisolti.

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Intervista di Silvana Mazzocchi all’autrice per “la Repubblica” Spettacoli e cultura (5 febbraio 2009) 
Rita Di Giovacchino, il caso Orlandi riguarda una fra le tante ragazze e bambine scomparse negli ultimi decenni, ma è anche un intrigo internazionale.
“La storia di Emanuela si è ciclicamente riproposta in questi venticinque anni come un mistero insoluto a metà strada tra l’intrigo Vaticano e le trame internazionali. Credo che a renderlo tale sia stata la mano sapiente di qualcuno che aveva interesse a occultare verità imbarazzanti. Non bisogna dimenticare che questa ragazzina, scomparsa il 22 giugno 1983 al centro di Roma in pieno giorno, era cittadina vaticana. Attorno alla sua sparizione fin dall’inizio si è innescato un balletto di rivendicazioni da parte di misteriose organizzazioni che, se da un lato riportavano allo scenario dell’attentato in piazza San Pietro contro papa Wojtyla, spesso tradivano il linguaggio cinico e brutale della criminalità organizzata.

Il personaggio più interessante di questa strategia mediatica fu senza dubbio l’Amerikano, l’anonimo che impazzava con messaggi e telefonate dalle quali traspariva un personaggio assai somigliante al vescovo americano Paul Casimir Marcinkus, il presidente dello Ior. Una pantomima cui mostrò di credere perfino il Sisde, (i servizi segreti per la sicurezza interna ndr) che, pur senza fare il nome dell’Alto prelato, in un documento lo indicò come il protagonista occulto del caso Orlandi.

Naturalmente tutte queste piste non portarono da nessuna parte, anzi finirono per alzare una cortina fumogena che mise in difficoltà gli inquirenti italiani. Tanto che in alcuni magistrati si fece strada la convinzione che dietro le mura Leonine si stava svolgendo una trattativa segreta dalla quale lo Stato italiano era escluso”.

Quali elementi di novità contiene il suo libro?
“Alcuni mesi fa c’è stata una svolta inaspettata nelle indagini. Dopo un quarto di secolo, quando il caso sembrava ormai archiviato, è finalmente spuntata una testimone oculare che afferma di aver incontrato Emanuela quando era nelle mani dei suoi carcerieri, e poi di aver assistito all’eliminazione dei suoi resti, nascosti in paio di sacchi gettati in una betoniera nei pressi di Torvajanica. Si, Emanuela è morta, ma questo già lo sapevamo: tutte le leggende costruite attorno alla sua presenza in monasteri o accanto a mariti turchi, altro non erano che depistaggi. La testimone è Sabrina Minardi, un personaggio noto alle cronache, ex moglie del calciatore Bruno Giordano, ma soprattutto amante storica del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, il gangster seppellito nella sontuosa cripta della chiesa di Sant’Apollinare, a pochi metri dalla scuola di Musica, frequentata da Emanuela, e dove fu vista per l’ultima volta”.

“I magistrati credono ai fatti raccontati da questa donna, la sua versione ha il sapore dell’autenticità, alcuni riscontri sono stati trovati. Anche se gli atti sono ancora coperti dal segreto istruttorio, quel che sono riuscita a ricostruire in effetti mi ha consentito di delineare uno scenario straordinario e convincente. E’ stato come immergersi in un cold case. Ho scoperto molte cose, perfino il nome dell’uomo che avrebbe gettato la ragazzina nella betoniera, un nome che era già presente in un messaggio dell’autunno 1983, quando la ragazza sarebbe stata uccisa”.

Riusciremo mai a mettere la parola fine ai misteri d’Italia?
“La soluzione di questo caso getta nuova luce su uno dei periodi più torbidi della storia recente, quello che va dal 1980 al 1984. Non a caso delimitato da due stragi: la bomba alla stazione di Bologna e la valigia imbottita di esplosivo sul rapido Taranto-Milano. Per quest’ultima è stato condannato all’ergastolo Pippo Calò, un boss di mafia. Tutti gli avvenimenti di quegli anni sembrano scanditi da ricatti avanzati da uomini, ma anche poteri occulti, che si sentivano minacciati. Molti di questi eventi riconducono al crack del Banco Ambrosiano e alla morte di Roberto Calvi. Anche il sequestro di Emanuela Orlandi”.

“Che si tratti di un vero e proprio sequestro non ci sono più dubbi. L’obiettivo della presunta trattativa tra la Banda della Magliana e la Santa Sede era il denaro. Soldi di mafia inghiottiti nelle operazioni estero su estero compiute da Calvi per conto dello Ior.

Ho letto con interesse l’intervista di Francesco Pazienza a Milena Gabanelli, nella quale l’ex capo del Super Sismi ammette per la prima volta di aver personalmente consegnato lingotti d’oro a un prete polacco per finanziare Solidarnosc. Ecco, imboccando la pista indicata da Sabrina Minardi, sono arrivata alla stessa conclusione. Quella che ha messo la parola fine al mistero di Emanuela Orlandi. Non posso aggiungere di più perché siamo di fronte a una vera spy story dove, come sempre, la realtà supera la fantasia”.

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