Licio Gelli

Questa storia è impregnata dall’odore acre dei soldi sporchi, è una puzza mista di sudore freddo e vecchi acari nascosti nelle pieghe dei salotti buoni dove di buono c’è solo il velluto delle poltrone che non guarda in faccia nessuno, si logora ma non ti strappa. Su ognuna di loro si è seduto il protagonista di questa vicenda, perché i salotti del potere sono stati il suo campo di battaglia.

E’ una lunghissima storia piena di buchi neri e colpi di scena, il primo arriva alla fine della guerra Licio Gelli è un gerarca fascista impegnato nella Repubblica di Salò ma quando i tedeschi iniziano la ritirata lui si toglie la camicia nera e si mette la giubba della Resistenza. Di lui si hanno molte definizioni, la prima la affidiamo ad un altro protagonista di quegli anni oscuri, Michele Sindona che di Gelli dice “… non credo che sia un filantropo è un uomo che è rimasto scosso, credo, sul piano politico, così mi ha detto, e devo pensarlo dal fatto che nella guerra di Spagna i comunisti gli hanno ucciso il fratello, in trincea con lui, e da quel momento lui ha fatto una crociata per cercare di combattere il comunismo”.

Il 21 aprile 1919, a Pistoia, da poco terminata la prima guerra mondiale, Ettore Gelli e la moglie, Maria Gori, divengono genitori di un bimbo a cui danno il nome di Licio, è il quartogenito e dunque il papà, mugnaio e intagliatore e la mamma, si devono dare un gran da fare per nutrire tutti quei figlioli. Che Licio Gelli non sia portato agli studi e abbia invece, come molti adolescenti, la facilità ad infiammarsi per cause discutibili, diventa evidente dopo qualche anno. E’ a scuola, e comunque nell’atmosfera di esaltazione propaganda e consolidamento del regime fascista dei primi anni 30, che l’adolescente Licio si infiamma per la causa fascista. Iscritto all’Istituto Tecnico Commerciale, in pratica ragioneria, come il suo praticamente coetaneo Milanese Roberto Calvi, a 17 anni il tracotante adolescente tira un grande calcio al preside dell’Istituto perché difendeva un professore non fascista e questa insubordinazione, persino ai tempi del regime, gli procura l’espulsione da tutte le scuole del regno. A quel punto che fare? se sei un facinoroso, tanto vale esserlo fino in fondo e dunque il primo settembre 1937 Licio Gelli si arruola nella 94^ Legione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e lo assegnano a Napoli, ma poi, da Napoli, col fratello Raffaello parte per la guerra civile spagnola a sostegno delle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco e finisce nel 735° Battaglione della Divisione Camicie Nere. Poiché gli mancavano ancora tre anni alla maggiore età che a quei tempi era ancora fissata 21 anni, il diciottenne Gelli, aveva falsificato i documenti per partire volontario. Purtroppo, durante i combattimenti a Malaga, Raffaello, il suo fratello maggiore morì e due anni dopo Licio torna a Pistoia baldanzoso e pieno di iniziative.

Fuoco copertina
Fuoco copertina

Sul settimanale della della federazione fascista locale si mette allora a raccontare, a puntate,  la sua esperienza della guerra civile in Spagna e poi raccoglie questi articoli in un libro che viene stampato in 500 copie che vende a 12 lire l’uno. Il titolo è Fuoco! cronache legionarie dell’insurrezione antibolscevica di Spagna vedremo poi che l’ossessione antibolscevica gli resterà a lungo. Benché non abbia finito nemmeno le scuole superiori, Gelli viene assunto al Gruppo Universitari Fascisti di Pistoia dove si fa notare per la meticolosità con cui si svolge le proprie mansioni, schedava anche le marche delle sigarette che fumavano, ha ricordato un suo collega, poi si iscrive al Partito Nazionale Fascista nel 1940, subito, in orbace camicia nera, si presenta come privatista all’Istituto Tecnico per Ragionieri, immaginando che l’abito faccia il monaco, ma il risultato è disastroso, con un drammatico quattro, addirittura in cultura fascista. A quel punto va a Firenze, dove fa domanda per arruolarsi nel corpo speciale dei paracadutisti e lo prendono nella divisione Folgore. Durante un lancio di esercitazione a Viterbo, nel settembre 1941, riporta lesioni ad entrambe le gambe e per questo viene riconosciuto inabile alla guerra: la sua carriera di soldato finisce per sempre.

Su di lui si può dire di tutto, burattinaio, mitomane, genio, uomo di paglia di altri poteri, poetastro, spia fascista, tranne che fosse una brava persona, ma andiamo per ordine, partiamo dal sei aprile 1941, durante la seconda guerra mondiale quando  il regno di Jugoslavia viene invaso dalle armate tedesche e anche l’Italia partecipa all’invasione. Il governo e la corte jugoslava fuggono verso il Montenegro portando via i gioielli della corona, il tesoro della banca centrale e 60 tonnellate di lingotti d’oro. Gli italiani occupano i porti e i dignitari jugoslavi sono costretti a fuggire in aereo in Egitto e poi a Londra mettendo in salvo solo una minima parte dei loro preziosi. Scrive lavoroculturale.org “secondo le regole di guerra chi conquista la capitale di un paese, ha il diritto di incamerare le risorse auree“ i tedeschi però, non trovano l’oro nel caveau della banca centrale di Belgrado perché funzionari jugoslavi riescono, prima di scappare, a nascondere il tesoro in una grotta. Gli italiani lo trovano e prima che i tedeschi le chiedono la consegna lo fanno sparire trasportandolo in Albania. Ma come farlo arrivare in Italia senza mettere in allarme gli alleati germanici? È qui che entra in gioco Gelli, all’epoca sottufficiali del SIM, il servizio segreto militare fascista. Gelli fa uscire il coniglio dal cappello, fa trasportare l’oro su un treno ospedale che attraversa i territori jugoslavi occupati dai nazisti, il bottino arriva in Italia e viene consegnato alle autorità di Roma ma il suo viaggio non è ancora finito. Negli anni seguenti, prima finisce in un caveau della banca d’Italia, poi viene sequestrato dai nazisti e spostato nel nord. Quando nel 1947 il tesoro viene restituito dalla banca d’Italia alle autorità jugoslave, mancano però all’appello, almeno 20 tonnellate d’oro, in parte, sì dice, trattenuti e trasferiti in Argentina proprio da Gelli. C’è chi pensa che i lingotti d’oro ritrovati nel corso di una perquisizione nelle fioriere del giardino di villa Wanda decenni dopo, siano proprio quelli spariti.

Tessera Licio Gelli
Tessera Licio Gelli

Sono i primi capitoli della storia che dai campi di battaglia si sta spostando nei salotti della capitale.

Wanda Vannacci di origine Livornese e Licio Gelli, si erano conosciuti da ragazzi a Pistoia e nel dicembre del 1944 si sposarono. Questa Wanda, casalinga di una volta, donna che stava sempre ad un passo indietro al marito, unita nella buona e nella cattiva sorte, senza mai proferire parola, perlomeno pubblicamente, gli diede quattro figli, due maschi e due femmine, tutti i nati a Pistoia tra il 1947 e il 1959. La sontuosa villa ottocentesca di Arezzo Villa Carla, 33 stanze con adeguato parco che Gelli comprò dai suoi soci Lebole nel 1968 venne da lui prontamente ribattezzata Villa Wanda in onore di questa donna che aveva sposato l’intraprendente Licio quando era uno spiantato qualsiasi e se lo trovò man mano ricco, potente e temuto ma poi anche inquisito, disprezzato, incarcerato, disonorato lui e tutti i suoi figli.
Sempre senza proferir parola, Wanda finì inquisita e condannata per aver aiutato il marito ad evadere nel 1983 dal carcere ginevrino di Champ-Dollon poi però il male di vivere che si era insinuato in lei, complice anche la morte in un incidente d’auto della bella e inquieta figlia Maria Grazia, si trasformò in una grave malattia costosamente ed inutilmente curata da un celebre medico di Parigi. Morì a 67 anni nel 93, lasciando il suo Licio solo ai domiciliari libero però di risposarsi qualche anno dopo.

Viste le sorti della seconda guerra mondiale, nel 1944 Gelli passa dalla RSI alla resistenza, e dopo la guerra lavora anche come spia per i russi, organizza espatri clandestini per i nazisti che desiderano fuggire in Sudamerica, assiste i funzionari del Vaticano e i servizi segreti americani. Insomma si dà abbastanza da fare e già che c’è, comincia a lavorare anche per i servizi segreti italiani. Racconta Raja Marazzini nel suo libro 2 ottobre 1980. Stazione di Bologna: Omissis che dai servizi segreti, Gelli ottiene come onorario, la raccolta di documenti che i servizi stessi avevano messo insieme su di lui.

Licio passerà la vita tra lingotti e velluti ma dopo la guerra un fascicolo della prefettura di Pistoia lo descrive come nullatenente dedito al piccolo commercio. Per guadagnarsi da vivere pare che aiuti il suocero che ha una bancarella al mercato ma nel 1948 però è autista e factotum dell’onorevole Romolo Diecidue, un politico di poco conto che guiderà il giovane Licio nei suoi primi corridoi del potere. E’ in quegli anni che impara a portare borse cariche di denaro, gliele consegnano i suoi amici, ex gerarchi fascisti e lui le porta in Argentina e in Uruguay, nel passaggio ogni borsa si svuota un po’ e lui accumula denaro con cui nel 1949 apre la casa del libro a Pistoia. L’editoria però non è il suo forte, le cose vanno male, ma il salto di qualità è vicino, Licio lo farà su un materasso a molle e poiché punta molto in alto occorrono molti materassi e molte molle: compra uno stabilimento Permaflex. All’inaugurazione arrivano alti prelati e politici, il nastro lo tagliano a quattro mani l’onorevole Giulio Andreotti e il cardinale Alfredo Ottaviani, esponente e leader della destra Vaticana. Insomma da oggi in poi, i sogni di Licio poggiano su comodi guanciali.

Licio Gelli
Licio Gelli

La P2Propaganda Due aderiva al Grande Oriente d’Italia, che è una cosiddetta comunione massonica di rito scozzese e la massoneria è un’associazione iniziatica di fratellanza a base morale che si propone come patto etico morale tra uomini liberi questa è la definizione corretta. Detta così sembra una specie di Rotari o di Lions Club, la P2, fondata nel 1877 era una loggia decaduta e campicchiava con pochi iscritti 5 morti e 10 anziani come dirà  Licio Gelli.

Negli anni della guerra fredda gli americani decidono di servirsi della massoneria per creare gruppi di potere anticomunisti pronti ad intervenire se si verificasse l’invasione dei russi o una rivolta interna, a quel punto Gelli, che era entrato nel Grande Oriente nel 1959, viene incaricato nel 1966 di rifondare la P2 proprio su questa istanza, l’anticomunismo, e in breve la riempie di persone di potere con la religione della riservatezza, armata invisibile la chiama,  che hanno l’obbligo di essere anticomunisti e una spiccata attitudine agli affari e alle trame e al dossieraggio in funzione di ricatto. Nel 1975 da segretario Gelli diviene Gran Maestro, ossia il Venerabile, e la P2 da lui rifondata è in grado di orientare la politica, l’economia, e le professioni, forte dei 2500 potenti che Gelli è riuscito a reclutare e dei segreti che custodiscono, insomma i cosiddetti dossier. Secondo Gelli le regole degli affiliati erano invece solo tre apparte quella di non fare mai il nome degli altri affiliati. Ecco le regole secondo lui: non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te, fai agli altri ciò che desideri per te, provvedi alle necessità degli altri fratelli senza far loro sapere che sei stato tu. Ma che buoni questi piduisti,  ma allora è una organizzazione di beneficenza tipo l’opera San Francesco verrebbe da dire: no, non era così.

Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese, noto semplicemente come Junio Valerio Borghese è l’autore di quello che passerà alla storia come Il Golpe Borghese o per il tentativo di imporre una giunta militare in Italia sulla falsa riga di quelle delle dittature sudamericane. Borghese è un generale sessantenne che durante la seconda guerra mondiale si è messo in mostra per le sue abilità militari, negli anni 70 entra in contatto con una branca deviata nei servizi segreti italiani e ha in mente un piano per conquistare il potere grazie alle forze dell’ordine soprattutto la guardia forestale. Il Principe Nero, com’è soprannominato, può contare sull’appoggio di infiltrati nel governo e di  gruppi clandestini delle Forze Armate ma soprattutto sulla CIA come risulta dalla desecretazione di alcuni documenti statunitensi degli anni 90. Il piano di Borghese è molto semplice, prima di tutto bisogna occupare militarmente i ministeri dell’Interno e della Difesa, poi le sedi RAI per mandare in diretta la notizia del cambio di regime, poi dopo si sarebbe espugnato il Parlamento e per il Presidente della Repubblica era già pronto un piano di rapimento, per gli onorevoli troppo a sinistra la deportazione. Tutto è pronto ma all’ultimo momento salta tutto Junio Valerio Borghese fa un passo indietro nessuno conosce il motivo del dietrofront da parte di Borghese che ormai se l’è portato nella tomba. Forse perché, invece che a lui, secondo la CIA, il potere sarebbe dovuto andare ad esponenti di spicco della Democrazia Cristiana e da alcuni documenti spunta addirittura il nome di Andreotti. Sia Andreotti che altri notabili democristiani non vollero aderire all’operazione e quindi saltò tutto.

Scrive la Repubblica nel 1995 secondo la ricostruzione giudiziaria, Licio Gelli, grazie ad un passi che gli permetteva di entrare al Quirinale, ottenuto durante la presidenza di Gronchi, avrebbe avuto il compito di arrestare prelevare il presidente Giuseppe Saragat e quando venne dato il contrordine il commando si trovava già all’interno dell’ascensore del palazzo residenza del Capo dello Stato. La magistratura non mise in carcere ne Junio Valerio Borghese ne gli altri congiurati,  gli imputati furono tutti assolti con la motivazione che il fatto non sussisteva e Borghese fuggì in Spagna e non torno più in Italia nemmeno quando fu ritirato l’ordine di cattura. Gelli invece rimase portare avanti i suoi affari nel nostro paese.

Gladio era il nome di un’organizzazione creata dalla CIA con l’obiettivo, durante la guerra fredda, di bloccare un eventuale espansione Sovietica in Italia. L’organizzazione detta anche stay-behind (stare dietro, stare nascosti) nacque nel 1957 e disponeva di una rete norme di depositi di armi posti in tutta l’Europa occidentale, era in pratica una versione armata della P2 dal momento che, almeno inizialmente, avevano lo stesso scopo, l’esistenza di Gladio, che era appunto un’organizzazione segreta, fu svelata da Andreotti nel 1991. Benchè dal punto di vista giudiziario non sia mai stato provato, molti ritengono che ci fosse un legame tra la CIA, la loggia P2, Gladio, la mafia e gruppi terroristici italiani che, con lo strumento della strategia della tensione, miravano a destabilizzare il paese e a far sfilare leggi molto restrittive che facessero diventare l’ Italia una specie di dittatura di destra in funzione anticomunista.  Al contempo, nel nostro paese, avrebbe agito anche una Gladio rossa che puntava la presa del potere attraverso le sommosse popolari.

Nel 1981, quando i giudici milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell’ambito dell’inchiesta Sindona, indagano sul crac dell’Ambrosiano ordinano una perquisizione a Castiglion Fibocchi e arrivano Villa Wanda, la residenza di Gelli, scoprono gli elenchi della loggia P2. Sono presenti  ministri, alti ufficiali dell’Esercito, della Guardia di Finanza, Carabinieri, dieci parlamentari della Democrazia Cristiana,  dirigenti dei servizi segreti dell’epoca, giornalisti, editori del Corriere della Sera, politici in ascesa, finanzieri d’assalto, manager di Stato, e Silvio Berlusconi. Definita un’associazione per delinquere dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini la Loggia Propaganda Due di Licio Gelli era un’associazione segreta che si riproponeva di gestire in maniera occulta interi settori della vita economico-politica italiana. Gli elenchi contenevano ben 962 nomi e secondo la Commissione Parlamentare, probabilmente non erano nemmeno tutti .

Sessantadue anni, quattro figli una scalata sociale memorabile, da figlio di mugnaio a ricco proprietario della maestosa Villa Wanda ad Arezzo, qui va aggiunto una fabbrica di confezioni, la Giole di Castiglion Fibocchi, alcuni latifondi in Argentina e va da sè, lingotti e conti esteri.  Però, sino al 17 marzo 1981, questo signor Licio Gelli con la licenza media, era ignoto a gran parte degli italiani, solo chi era esperto di stanze del potere l’aveva sentito nominare, forse l’aveva incontrato o addirittura era stato reclutato nella loggia massonica Propaganda Due di cui Gelli era il Venerabile Maestro. Questa Loggia deviata era stata, probabilmente incoraggiata e finanziata dai servizi segreti americani, sempre attivi nel creare gruppi di potere pronti ad opporsi ad un eventuale e ormai, nel 1981, aleatoria rivoluzione comunista propagine ormai ammuffita della guerra fredda.

Il 17 marzo 1981 la Guardia di Finanza, su indicazione dei giudici istruttori di Milano Giuliano Turone e Gherardo Colombo che pensavano di trovare documenti relativi all’inchiesta Sindona e nella fattispecie la lista dei 500 esportatori di denaro nero, compie un’ ispezione a sorpresa. I due Magistrati, in accordo con il Colonnello Bianchi della Guardia di Finanza programmano una perquisizione che riesce a restare segreta fino all’ultimo.

All’alba, gli uomini della Guardia di Finanza si presentano nelle stanze dell’Hotel Excelsior di Roma, base abituale di Gelli e vanno ad Arezzo, a Villa Wanda e, sempre in contemporanea, a Castiglion Fibocchi nella fabbrica Giole. Ed è proprio qui, nella fabbrica, protetta dentro una cassaforte che salta fuori una lista di un migliaio di nomi, non di evasori, bensì di iscritti a una loggia allora misteriosa la oggi famigerata P2. In una borsa si trovano poi documenti che spiegavano la struttura organizzativa della Loggia suddivisa in 17 sottogruppi, ci sono anche le ricevute del denaro versato per l’affiliazione, le richieste di chi voleva entrare a far parte della P2 oltre ad una trentina di buste sigillate. Proprio mentre era in corso la perquisizione il colonnello Bianchi riceve una telefonata è il suo superiore Orazio Giannini Comandante Generale della Guardia di Finanza, intima di non consegnare le carte trovate ai due magistrati milanesi, il suo nome è legato alla tessera n. 832 ed era presente nell’elenco degli scritti. Per fortuna il Colonnello porta a termine il suo compito e consegna il materiale a Turone e Colombo: l’Italia dei potenti a quel punto fu percorsa da una ondate di panico.

Licio Gelli

Se nelle buste si scoprirono indizi probatori di reato, vi si trovarono anche alcune rivelazioni per esempio che dopo lo scandalo Watergate e la caduta di Nixon la P2 aveva cambiato strategia, da Loggia militare eversiva in funzione anticomunista e reazionaria a rete politico economica che si voleva impadronire dello Stato democratico. Poi c’era la lista dei nomi in cui erano rappresentate tutte le forze politiche tranne i comunisti. I magistrati mandarono la documentazione al Presidente del Consiglio Forlani e questi si guardò bene dal diffonderla ma sui settimanali, tuttavia, cominciarono ad uscire indiscrezioni finché la lista venne resa nota e Forlani, per il clamore dello scandalo, dovette dimettersi.

Gelli non finisce subito in carcere, anzi, passano due mesi dal ritrovamento della lista della loggia P2 prima che la magistratura emette un ordine di cattura e quando vanno cercarlo a Villa Wanda Gelli si è già dato alla macchia da un bel pezzo. Rimane probabilmente in Sud-america per più di un anno, fino a quando ha la cattiva idea di andare in un’agenzia bancaria di Ginevra a fare un prelievo. Su due conti dell’Unione Banche Svizzere Licio Gelli aveva infatti depositato quelli che per gli inquirenti erano una parte dei 120 milioni di dollari frutto del crac del Banco Ambrosiano. Gelli era un cliente sgradito alle banche svizzere ma aveva convinto  un funzionario della filiale ad intestare i conti al nome fittizio di Mario Gori, lo stesso che aveva sul passaporto argentino. Purtroppo per lui la polizia Svizzera ne era a conoscenza e quando Gelli si presenta, gli mettono finalmente le manette. E’ il 13 settembre del 1982 e Gelli viene rinchiuso nel carcere a minima sicurezza di Champ-Dollon, l’Italia ne chiede l’estradizione ma nel frattempo, tra una carta e l’altra, tra un tira-molla giudiziario e l’altro nell’agosto del 1983 Gelli evade e scappa un’altra volta e stavolta rimarrà latitante per più di 4 anni.

Quando la lista dei piduisti, che forse era incompleta, fu infine resa nota, ci fu, naturalmente, la corsa a dire che era un elenco inattendibile. Quasi ognuno dei presenti sosteneva che era stato Gelli a inserire il suo nome a sua insaputa oppure, che si, aveva inizialmente aderito ma senza poi aver mai fatto nulla restando, come si suol dire, in sonno. Il nome più famoso della lista P2 è oggi indubbiamente quello di Silvio Berlusconi, tutto il mondo sa chi è, ma allora, nel 1981 non era ancora sceso in campo e Berlusconi era solo, ed era già molto, un grande costruttore milanese divenuto imprenditore televisivo, il primo in questo campo e a tutt’oggi il più importante. Tuttavia al tempo furono soprattutto altri nomi a fare scandalo, tre ex ministri, un segretario di un partito di governo che era poi Longo del psd e comunque, una lista considerevole di politici di primo piano tra cui l’allora potente socialista Fabrizio Cicchitto e il democristiano bresciano Mario Pedini (a Brescia anche detto prendini) e poi il Generale Carlo Alberto Della Chiesa e ovviamente, Sindona e persino Maurizio Costanzo, uno dei pochissimi, forse solo due, che poi ammisero pubblicamente, ricusandola, la la loro adesione. C’era Vittorio Emanuele di Savoia, ancora in esilio e anche l’ imitatore Alighiero Noschese, c’era persino un tale di nome Claudio Pica conosciuto come Claudio Villa e, andando invece su personaggi di potere occulto, c’era il famigerato Duilio Poggiolini, re della sanità poi divenuto famoso per la casa stipata di contanti, lingotti d’oro, monete antiche e pietre preziose nascosti sin nell’imbottitura dei divani. Inoltre, risultò cruciale l’elenco degli iscritti legati al Corriere della Sera, c’erano l’editore e parziale proprietario soffocato dai debiti Angelo Rizzoli, il suo braccio destro Bruno Tassan Din il direttore Di Bella, alcune importanti firme del quotidiano e soprattutto, c’erano quelli che ormai erano diventati i padroni occulti del Corriere cioè Umberto Ortolani, la vera mente della P2 e Roberto Calvi presidente dell’Ambrosiano che, mediante la sua finanziaria Centrale, aveva comprato il 40% della Rizzoli.

Come si capì abbastanza presto, il trio Gelli-Calvi-Ortolani aveva approfittato delle difficoltà economiche del giornale per foraggiarlo e di fatto, impossessarsene, tenendo Rizzoli in ostaggio della loggia P2.

Tina Anselmi
Tina Anselmi

La Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla Loggia Massonica P2 è affidata a Tina Anselmi, insegnante, parlamentare, sindacalista prima donna ministro della storia repubblicana e prima ancora, staffetta partigiana. In pochi avrebbero scommesso che sarebbe arrivata fino in fondo.

Per quattro anni, la Anselmi scava nel nocciolo del potere fuori dalla scena del potere. Un intreccio di denaro, stragi, affari poteri forti, servizi deviati, tangenti, mafia, omicidi eccellenti e addirittura un progetto politico per rovesciare la politica, tutto indissolubilmente legato. Intervistata, Tina Anselmi rispondeva nel 1981 “bisognava capire se il potere di Gelli era anche il potere della P2 e se il potere della P2 di Gelli è stato un potere occulto capace di influenzare e dirigere la vita del nostro paese più del potere legittimo di chi ha avuto la rappresentanza dal Popolo. Questo significa inseguire tutte le tracce di Gelli e della P2 negli avvenimenti che in questi ultimi 10 anni sono avvenuti nel nostro paese. Gelli e la P2 appaiono nell’Italicus e nella strage di piazza Fontana” E’ un lavoro enorme che per Tina si trasforma ben presto in un calvario di veti e interdizioni politiche, delegittimazione, ostracismi e minacce per lei e per la sua famiglia oltre a numerosissime lettere di stima da parte dell’Italia che voleva andasse avanti l’inchiesta.

Non sono stata ammazzata solo perché pensavano che come donna non sarei andata fino in fondo ha detto una volta in un’intervista e lei, da donna, ha lavorato 30 mesi, 147 sedute, 198 persone ascoltate, 14 operazioni di polizia giudiziaria, centinaia di migliaia di pagine di atti trascritti e depositati per arrivare alla seduta del 10 luglio del 1984 quando con 34 favorevoli 4 contrari e un astenuto la Commissione ha approvato a larga maggioranza la relazione presentata dalla Presidente che la stessa Anselmi esplicita in una intervista “La commissione che ho presieduto ha detto che la P2 è stata un’organizzazione che ha cercato, all’interno delle istituzioni, di controllare, di condizionare la vita politica del paese” una conclusione che non piacerà a tutti visto che a conti fatti sarà l’ultimo incarico importante per il politico Tina Anselmi, esclusa dal governo ed emarginata dal suo stesso partito.

Il 21 settembre dell’87 Gelli torna a Ginevra e si costituisce, lo rinchiudono di nuovo nel carcere modello di Champ-Dollon e dal quale 5 mesi dopo è estradato in Italia. Forse perché qualcuno non si fida delle patrie galere o li ritiene troppo sporche, per il Venerabile Licio Gelli  viene creata una prigione ad hoc all’interno della Certosa di Parma sede della scuola degli Agenti di Custodia. La sua cella, il cortile per l’aria e le torrette di guardia vengono costruite ex novo e pare siano costate parecchio, come parecchi sono i capi di imputazione di cui Gelli deve rispondere tra queste: associazione sovversiva, calunnia e cospirazione per il sovvertimento dell’ordine Democratico. Più che un problema giudiziario però quello di Gelli e della P2 è diventato un problema politico vista la quantità di onorevoli e funzionari trovati nelle liste, il Parlamento italiano approva in tempi rapidi una legge per mettere al bando le associazioni segrete in Italia, intanto il Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani si dimette e al suo posto arriva il repubblicano Giovanni Spadolini, sarà il primo Presidente del Consiglio non democristiano nella storia d’Italia.

Ci vogliono dieci anni prima che l’inchiesta su Licio Gelli e la P2 si chiuda e quando si arriva processo, l’ imputazioni più gravi non ci sono più. Anche l’imputazione di attentato alla Costituzione mediante cospirazione politica decade. In pratica Gelli e Piduisti inquisiti, da cospiratori che erano, vengono derubricati a semplici lobbisti un po’ scapestrati, smentendo così le conclusioni della Commissione d’ Inchiesta. Per esempio non vengano trovate prove per le accuse di aver finanziato Il terrorismo nero e non ci sono prove sul coinvolgimento di Gelli con l’attentato del treno Italicus, cadono anche le accuse, per Gelli, di aver sfruttato le proprie conoscenze all’interno dei servizi segreti per depistare le indagini relative al sequestro e all’omicidio dell’onorevole Aldo Moro. Viene però condannato in varie trance il procacciamento di notizie contenente i segreti di Stato per calunnia nei confronti dei magistrati milanesi Gherardo Colombo, Giuliano Turone e Guido Viola, (reato prescritto) calunnia aggravata dalla finalità di terrorismo per aver tentato di depistare le indagini sulla strage alla stazione di Bologna (vicenda per cui si prenderà una condanna 10 anni) e bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano. La condanna per strage diventa definitiva il 22 aprile 1998 e come sempre, però, quando le forze dell’ordine vanno a Villa Wanda per tradurlo in carcere, Licio Gelli è già sparito, d’altronde non era sorvegliato e l’unica misura cautelare cui doveva sottoporsi era quella della firma una volta al mese, quindi non c’è da stupirsi. Gelli viene cercato dall’interpol soprattutto in Argentina e in Uruguay e dalla sua latitanza rilascia interviste e si autocandida addirittura per il Nobel della letteratura.

Individuato in una clinica a Marsiglia, ma scappa truccandosi con dei baffi finti e un cappello, si sposta continuamente dalla Costa Azzurra a Ginevra e alla fine viene catturato a Nizza durante un incontro con il figlio. Estradato in Italia gli vengono concessi i domiciliari a Villa Wanda anche se la villa era sotto sequestro per reati fiscali, che decadranno anche quelli, da lì Licio Gelli non scapperà più.

Ormai 86enne Gelli consegnò all’archivio di Stato di Pistoia, la sua città natale, il suo archivio. Ovviamente dopo aver compiuto un meticoloso lavoro di pulizia dei materiali. Un po’ come i diari di certi potenti scritti non per se stessi ma compilati pensando alla glorificazione postuma della propria figura. Sono notizie che mettono in luce il carattere provo e arguto, le caratteristiche di uomo di Stato diritto per le scelte azzeccate e mai errori (se non qualche bazzecola ininfluente che serve più che altro per dare un’apparenza di veridicità al fondale truccato).

Muore a 96 anni, il 15 dicembre 2015 ad Arezzo, e nella camera ardente la salma di Gelli è stata vestite ed addobbata con una spilla del partito fascista e al dito, l’anello comitale cioè l’anello nobiliare da conte, una nobiltà cui lui evidentemente teneva moltissimo ma a dir poco farlocca infatti il titolo gli era stato conferito da Umberto II di Savoia, nemmeno sulla scaletta, come coloro che il 13 giugno 46 vennero fatti i nobili del re che andava esiliarsi in Portogallo a Cascais, ma quasi 40 anni più tardi, negli anni 80, poco prima che Umberto morisse sempre a Cascais e in cambio di chissà quali favori indicibili fattigli dall’ex materassaio.  Tant’è che sul manifesto funebre che annunciava il funerale a Pistoia il 17 dicembre 2015 era scritto NH, nobiluomo, Conte Licio Gelli. Il 15 dicembre il suo cuore aveva cessato di battere a Villa Wanda dove risiedeva benchè la villa fosse stata sequestrata tre anni prima dalla guardia di finanza per una frode fiscale di 17 milioni di euro. Al funerale c’era ovviamente la seconda moglie, la rumena Gabriella Vasile che a fine anni 90, cinquantenne gagliarda e conduttrice di un’agenzia matrimoniale, aveva lasciato il primo marito per scappare con l’ottantenne Licio Gelli diventando di fatto l’amministratrice occulta dell’immenso patrimonio stimato dalla guardia di finanza in 95 milioni di euro e sparso tra paradisi fiscali e cassette di sicurezza oltre che fatto di immobili e latifondi in America Latina. Una seconda moglie, la Vasile, con probabilità poco gradita ai figli da Gelli comunque ritenuti dei fessacchiotti inadeguati alla gestione del patrimonio accumulato. Infatti al funerale del Conte Gelli era presente solo la figlia Maria Rosa dei due maschi con cui lui sperava di riappacificarsi prima di morire nessuna notizia.

E’ la storia di una grande buco, un buco di verità, di democrazie e un buco economico perché soldi neri e finanziamenti pubblici entrano nei flussi di cassa di questi personaggi e poi spariscono, senza lasciare traccia. Miliardi di lire trasferiti, assorbiti, evaporati nei canali finanziari tra Panama e Losanna, una rete di affari nutrita di favori e ricatti diventata ben presto una rete di potere con le maglie molto strette dove saltare o rimanere impigliati. Non si troverà solo uomo libero perché non c’è libertà tra favori e ricatti dunque, è una storia di schiavi.

I muratori di Gelli costruiscono case di carta moneta e anche carta stampata.

 

Tratto dalla trasmissione radiofonica RAI© Mangiafuoco del 21/06/2018

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