La Banda della Magliana (terza parte)

Mangiafuoco” è una radiofiction: il primo programma narrativo di Radio1. Il fatto del giorno, raccontato in forma di dramma da tre sceneggiatori. Sandrone Dazieri è l’anima noir, Camilla Baresani è quella emotiva e sociale, Angela Mariella è la garante della cronaca. Dopo aver sceneggiato e condotto la vicenda di Emanuela Orlandi, abbiamo deciso di trascrivere quanto trasmesso per quattro puntate dalle frequenze di Radio1 e riportarle fedelmente in questo Blog. Ringraziamo tutta la Redazione di “Mangiafuoco“.

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Condotto da: Angela Mariella, Sandrone Dazieri e Camilla Baresani. Regia di Luca Raimondo. In redazione: Mimmi Micocci, Maria Cristina Cusumano, Laura Nerozzi e Cristiana Affaitati. A cura di: Angela Mariella.

Mangiafuoco

Terza parte Mangiafuoco del 06 dicembre 2017

Siamo arrivati al cuore di una storia criminale che ci ha tolto il fiato e ci ha lasciato senza ossigeno, è una corsa senza traguardo perché la parola fine non è ancora scritta, perché,  per ogni capitolo che si chiude ce n’è un altro che si spalanca ed è un’altra discesa nei bassifondi dell’anima criminale. In quelli in cui siamo caduti oggi hanno trovato albergo, per fortuna, i sentimenti più umani del pentimento e della colpa, sono stati cacciati lì, giù dalle regole bestiali del sopruso della sottomissione. Leggi osservate a sangue freddo mentre sull’asfalto scorre il sangue di amici e nemici, sono le leggi di una banda che tra gli anni 70 e 80 ha messo in ginocchio la capitale e la sua Repubblica, una banda che è entrata a vario titolo in tutti i misteri d’Italia (Moro, Orlandi, strage di Bologna, Calvi, Varisco, Pecorelli, Cirillo) ed in molti di questi la Magliana opererà parallelamente al cosiddetto “Noto servizio” o, se preferite, Sid parallelo.

Se vi parliamo di Banda della Magliana e non per esempio, della pur criminalmente celebre mafia del Brenta, è per le straordinarie ramificazioni-intrecci che hanno innalzato il suo ruolo nella malavita facendola permeare nel cuore delle più importanti vicende politiche finanziarie e persino terroristiche del ventennio che va dal 76 al 96. Un’azione invasiva, come quella della mafia siciliana, però fatta partendo da una posizione di privilegio geopolitico, l’essere cioè una banda criminale che operava nella capitale del nostro paese a stretto contatto con la politica, l’amministrazione, la finanza e servizi segreti deviati. Pensate che la Banda della Magliana entra persino in uno dei casi più clamorosi della periclitante storia delle banche italiane quella cioè che vede, da un lato correntisti e piccoli azionisti truffati, e dall’altro banchieri spregiudicati, truffatori che agiscono senza controllo degli organi superiori. Se alcuni di quei i banchieri si salvano, mettendo al riparo i propri beni intestandoli a familiari, altri, invece, soprattutto nel passato, hanno fatto una brutta fine. È il caso di Roberto Calvi trovato impiccato con addosso tre paia di mutande e con cinque mattoni in tasca sotto il ponte blackfriars nel giugno dell’82 a Londra. Roberto Calvi era presidente del Banco Ambrosiano e aveva creato un impero grazie ai suoi legami con la P2 e alle entrature in Vaticano attraverso il famigerato IOR di Monsignor Marcinkus, un impero che si stava sfaldando. Calvi si era specializzato nel riciclaggio dei soldi sporchi della criminalità organizzata tra cui quelli della Banda della Magliana tramite Ernesto Diotallevi. Ai tempi d’oro della banda e del banchiere, Diotallevi passava le vacanze in Sardegna con Roberto Calvi, con il faccendiere Flavio Carboni e con Danilo Abbruciati, il boss della banda, tessitore delle relazioni con cosa nostra e che morì mentre compiva l’attentato a Roberto Rosone, il vice di Calvi.

Maurizio Abbatino

Dichiarazioni Abbatino

In Italia abbiamo un problema con la nostra storia, sappiamo che parte delle istituzioni, i cosiddetti servizi deviati, i SID paralleli, i “noti servizi” hanno fatto di tutto per coprire la verità e spesso ci sono riusciti a suon di disinformazione, indagini farlocche. La strage di Bologna del 2 agosto 1980 non fa eccezione, dopo che l’ordigno alla stazione uccise 80 persone e ne ferì più di duecento, cominciò il balletto delle mezze verità e dei colpevoli costruiti a tavolino.

“scendono in campo i vertici dei servizi segreti, collocano una valigia con esplosivo identico a quello usato pochi mesi prima nella stazione di Bologna, collocano un mitra che è passato attraverso le mani del professor Semerari. E’ evidente che si tratta di una manovra gestita per intero dai servizi segreti, lo sappiamo perché sono stati condannati definitivamente esponenti di vertice del SISMI collegato alla P2 e alla massoneria  E quindi quel messaggio è un messaggio che ha una chiarezza estrema, i giornali enfatizzano quel ritrovamento, fotografano ciò che è stato trovato, lo descrivono e Semenari capisce che qualcuno si è mosso

Visto che si trattava della più grande strage dal dopoguerra ci si misero in molti ad allontanare la responsabilità dei neofascisti, tra loro, oltre i succitati, anche Franco Giuseppucci, il fornaretto della Magliana. Giuseppucci divenne subito il protettore dei NAR di Massimo Carminati e di Giuseppe Valerio Fioravanti (detto Giusva) a loro volta legati alla P2, con i quali la Magliana ebbe un costante scambio di favori, ad esempio i travel cheque rapinati dai nar presso la Chase Manhattan Bank vennero riciclati da Giuseppucci per gratitudine per i favori resi. C’era un altro personaggio vicino alla banda e ai neofascisti, il faccendiere romano Gennaro Mokbel che affermò, in un’intercettazione del 2010, di aver pagato un milione e duecentomila euro per far uscire di prigione Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Insomma un calderone, dove fascisti, mafiosi, piduisti e agenti deviati, descrivevano la storia a nostro uso e consumo.

Il virus letale che si sta mangiano Roma dagli anni 70 in poi ce lo spiega Maurizio Abbatino intervistato da Claudio Rinaldi di “Chi l’ha Visto?“. A lui, Abbatino spiega che la banda, in quegli anni, era un’ agenzia criminale pronta a svolgere tutti gli affari sporchi, avevano uomini mezzi e conoscenze. Qualcuno pensò a loro anche per risolvere il caso Moro.

Dichiarazioni Maurizio Abbatino

Tra i più affezionati clienti c’era un esponente dell’eversione nera: Aldo Semerari. Abbatino lo descrive come l’uomo coinvolto in molte delle stragi di quegli anni:

Dichiarazioni Maurizio Abbatino

Gli ha conosciuti tutti Abbatino e ha conosciuto anche il faccendiere dei faccendieri, Franco Pazienza:

Sindona muore lo stesso anche senza il contributo della banda ma il percorso di sindona verso la morte e incrocia abbatino anche in carcere:

E poi la banda mette le mani nel più nero dei misteri, sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, una ragazza di 15 anni. Ogni organizzazione criminale seria, che si rispetti, alzerebbe le mani di fronte ad una bambina ma il committente, secondo quello che racconta Abbatino, in quel caso è potente e non si può dire di no:

E’ una brutta storia che ancora pesa sulla coscienza dei sopravvissuti, in un’altra intervista di due anni fa a Raffaella Fanelli, Abatino spiega, e si capisce che, qualcosa ancora la sa ma non la può dire anzi, è convinto che lo uccideranno prima.

Emanuela Orlandi

“Maurizio Abbatino ha collegato l’omicidio di Michele Sindona e a quello di Roberto Calvi al sequestro di Emanuela Orlandi. Mi ha detto che se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sul presunto suicidio di Calvi nè sulla scomparsa di quella ragazza perché i tre casi, mi ha detto, sono collegati da un flusso di soldi finiti nelle casse del Vaticano e mai restituiti, soldi che appartenevano alla mafia e che, stando a quello che dice Abbatino, il vaticano non avrebbe restituito”

Il sorcio, al secolo Fulvio Lucioli, era un operaio della fabbrica Superpila. Nato nel 1954 a Cerveteri,  a vent’anni era già un pregiudicato con alle spalle numerose rapine, nel 1978, uscito dal carcere ed entrato nella banda della Magliana, si dà allo spaccio. Quando però, nei primi anni 80 inizia la guerra interna alla banda i cui componenti muoiono come mosche per fuoco amico, il sorcio si spaventa e alcuni mesi dopo essere stato arrestato, nel 1983, diventa collaboratore di giustizia. E’ un fiume in piena, confessa tutto a manbassa, omicidi, traffici, legami con politici e servizi segreti deviati, massoneria, Vaticano, mafia e grazie alle sue dichiarazioni il 15 dicembre 1983 gli agenti arrestano 64 persone e decapitano la banda. E’ il primo pentito di questa storia benchè in seguito nel processo d’appello del 1989 la sua testimonianza venga svilita, screditata come farneticazioni di un mitomane, ma più tardi altri confermeranno le sue rivelazioni e nel 1995 un nuovo processo verrà istruito basandosi proprio sulle confessioni di Fulvio Lucioli.

Fulvio Lucioli

Dichiarazioni Francesco Nitto Palma

Francesco Nitto Palma, oggi senatore della Repubblica ma allora giovanissimo Sostituto Procuratore al tribunale di Roma, riconosce l’innocenza della giovane età e il pentimento del sorcio. Per il giovane Procuratore è una perla di cui andare orgoglioso ma ne lui né il sorcio avevano fatto i conti con una burocrazia elefantiaca, grande alleata dei criminali, che sta tenendo in piedi e libera, l’agenzia del crimine che sta spopolando a Roma.

Dichiarazioni Antonio Mancini Maurizio Abbatino

C’è stata una stagione tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, in cui l’ospedale psichiatrico giudiziario era una sorta di hotel nel quale trovavano rifugio i più importanti boss ed esponenti della malavita. Ciò poteva avvenire solo grazie a delle perizie compiacenti come ricorda lo scrittore Giancarlo De Cataldo nel documentario “I pazzi siete voi“. Fingersi pazzi, permetteva ai criminali di evitare il carcere duro e dure condanne anche perché altre perizie conpiacenti li dichiaravano guariti dopo un po’. E potevano uscire.

Dichiarazioni Maurizio Abbatino

Ad aiutare quelli della Banda della Magliana arriva Aldo Semerari, uno psichiatra forense, professore alla Sapienza, eccentrico. Si dichiarava pagano, mangiava il fegato crudo durante i riti del sole, dormiva in un letto di metallo nero con la bandiera tedesca, fascistissimo, antisemita, forniva informazioni criminali e perizie compiacenti in cambio di attentati. Parla cosi di lui Fulvio Lucioli ex della banda “…ci fu un periodo a Roma in cui Semerari riceveva tutte le nomine di perizie psichiatriche dai giudici… comunque anche se perito di parte il suo giudizio era talmente autorevole che nessun perito di ufficio lo contestava…“. Semerari fu trovato morto nella sua auto nel 1982, decapitato.

 

Se il primo pentito della banda della Magliana fu Fulvio Lucioli, oggi un uomo libero, Claudio Sicilia, pentitosi tre anni dopo rimase invece cadavere sul selciato di via Mantegna a Roma nel 1991. Una moto, un killer seduto sul sedile posteriore, Sicilia il vesuviano che lo vede e cerca di scappare dentro un negozio di scarpe. Quattro colpi di pistola che fanno terminare il 52enne di origine napoletana. Sicilia non era mai stato considerato un boss, ne dagli inquirenti ne dai membri della banda, non era stato un pistolero, ma una pedina di rilievo si perché era incaricato di sostituire i bos nei lunghi periodi di detenzione.

Nel 1986, le sue rivelazioni dopo l’arresto, permisero al vicequestore Nicolò D’Angelo di catturare una settantina di criminali ma poi, in seguito, vennero purtroppo ritenute inattendibili dalla magistratura e quasi subito gli arrestati furono scarcerati. La cattura di Sicilia per Nicolò D’Angelo è un successo che segna una svolta nelle indagini anche se per chiudere la partita, D’Angelo, dovrà aspettare la cattura e pentimento di Maurizio Abbatino.

Dichiarazioni Nicolò D’Angelo

Sembra che Sicilia possa mettere in crisi davvero la Banda della Magliana ma la storia è andata in modo differente. Il Tribunale del riesame presieduto dal giudice Antonio Pelaggi (indagato e poi prosciolto per i suoi rapporti con Enrico Nicoletti) azzererà il lavoro degli investigatori. Il vesuviano considerato inattendibile in virtù del suo passato criminale, della sua personalità, del suo presunto movente di quel pentimento, non viene creduto. Spiega Angela Camuso nel suo libro “Mai ci fu pietà“, liberi tutti quindi, ma una volta liberati, quelli accusati, inizia per Claudio Sicilia l’incubo peggiore, tenta il suicidio nel carcere di Paliano dandosi fuoco con la benzina, passeranno tre anni e  otterrà i domiciliari. Nel frattempo altre indagini e ulteriori riscontri spingeranno la procura di Roma a rimettere in gioco i suoi verbali ma giunto a tal punto sarà sfinito. Per il collaboratore di giustizia, all’epoca, non saranno previsti speciali programmi di protezione e sarà ucciso nel 1991 in quella Tormarancia che era stata la sua zona di spaccio.

Le gesta della Banda della Magliana hanno lasciato sull’asfalto decine di morti ammazzati. Numerosi altri morti deceduti in maniera più fantasiosa, scomparsi di cui non si trova il corpo, senza dire di quelli che sono passati a miglior vita in conseguenza del consumo di droga spacciata dalla banda stessa, ma secondo la sentenza della Corte di Cassazione del giugno 1988, che confermava la sentenza d’appello del 1987, la banda della Magliana non esisteva, era tutta una fantasia del sorcio e gli omicidi, i sequestri, le rapine, i traffici di armi e droga, i legami con cardinali, banchieri, politici e via dicendo erano millanterie. Le 64 persone arrestate nell’83 in seguito alla sua collaborazione con le forze dell’ordine, non avevano decapitato un organizzazione malavitosa, ma piuttosto infangato l’onore di presunti boss, presunti fiancheggiatori, presunta manovalanza criminale.

Il Tribunale della Libertà, in tre giorni, aveva esaminato 80 posizioni, sicuramente tre giorni sono molto pochi. Addirittura nel 1989 una sentenza della nuova Corte d’Assise d’Appello così definì il povero sorcio, “mitomane affetto da una vita psichica gravata da nefasti influenze ambientali a cui sottende un deficit intellettivo meglio definibile come debolezza mentale indice di coscienza non lucida in stato delirante di confusione dissociata“. Debole, oltretutto cretino e pure malato di mente. No, la banda della Magliana non esisteva secondo i magistrati dell’epoca o forse, come poi si è cominciato a sospettare, esisteva invece troppo. Era cioè addirittura in grado di influenzare i processi e sentenze, di corrompere avvocati e giudici, di farsi tribunale al posto dei tribunali deputati.

Abbiamo un fantasma che aleggia tra noi, quello di Romanzo Criminale. Ogni volta che si parla della Banda della Magliana, dobbiamo separare i fatti dalla finzione e confondiamo i veri assassini con la loro assai riuscita versione televisiva. Per dire quanto la narrazione sia capace di incidere sull’immaginario più della storia, Edoardo Toscano non veniva chiamato scrocchiazzeppi ma l’operaietto, anche se, la fine che fa è più o meno la stessa della sua versione televisiva. Edoardo Toscano, affiliato alla banda sin dagli esordi, è uno degli esecutori dell’omicidio di franchino il criminale, omicidio che ha permesso a lui e suoi compari di diventare il re delle scommesse di Roma. Finito in carcere per le rivelazioni del pentito Abbatino, è uscito in libertà vigilata nel 1989, Toscano l’operaietto deve fare i conti con la nuova realtà criminale. L’impero della banda sta crollando e si sta dividendo in piccoli regni come accaduto a tanti imperi, criminali e non prima di loro, e a comandare sono i Testaccini, il gruppo della zona Testaccio di Roma a cui capo vi è Enrico De Pedis dal quale l’operaietto si è sentito tradito e abbandonato. De Pedis capisce che Toscano vuole ucciderlo e si preoccupa. A dispetto del soprannome, Toscano è un killer spietato e abile, che ha fatto moltissimi lavori sporchi per la banda, ma De Pedis è furbo. Scrive Angela Camusol’operaietto era uscito dal carcere da tre settimane con l’idea di ammazzare Enrico De Pedis ma renatino lo aveva preceduto“. Il 16 marzo del 1989 l’operaietto fu ucciso da due killer a Ostia, uno di questi, a quanto diranno i pentiti, era Libero Angelico, detto rufetto, quello che, stando ad Antonio Mancini, l’accattone, aveva telefonato a casa di Emanuela Orlandi. La mattina del delitto, Toscano era andato a parlare con un tizio che faceva il fornaio e pure lo strozzino. Prima di finire in galera, Toscano gli aveva affidato del denaro da far fruttare, una cinquantina di milioni di lire, la stessa cifra che De Pedis aveva offerto all’usuraio per attirare Toscano nella trappola. L’operaietto si trovava in piedi, sul marciapiede a parlare con il traditore davanti alla sua panetteria quando uno dei sicari si avvicinò camminando. Gli sparò alle spalle 3 colpi a bruciapelo, uno alla nuca e altri due alla schiena, anche il fornaio rimase ferito per errore e si fece un mese di ospedale con una tibia lesionata. Quando morì, Toscano aveva 35 anni, una giovane moglie, Antonietta, che poi era la sorella del coniglio e anche lei trafficava in stupefacenti, e un figlio piccolo. (Continua)

 

 

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