La Banda della Magliana (quarta parte)

Mangiafuoco” è una radiofiction: il primo programma narrativo di Radio1. Il fatto del giorno, raccontato in forma di dramma da tre sceneggiatori. Sandrone Dazieri è l’anima noir, Camilla Baresani è quella emotiva e sociale, Angela Mariella è la garante della cronaca. Dopo aver sceneggiato e condotto la vicenda di Emanuela Orlandi, abbiamo deciso di trascrivere quanto trasmesso per quattro puntate dalle frequenze di Radio1 e riportarle fedelmente in questo Blog. Ringraziamo tutta la Redazione di “Mangiafuoco“.

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Condotto da: Angela Mariella, Sandrone Dazieri e Camilla Baresani. Regia di Luca Raimondo. In redazione: Mimmi Micocci, Maria Cristina Cusumano, Laura Nerozzi e Cristiana Affaitati. A cura di: Angela Mariella.

Mangiafuoco

Quarta parte Mangiafuoco del 05 dicembre 2017

Stiamo scendendo nelle stagioni più crudeli della nostra storia, abbiamo riavvolto il filo di una vicenda criminale che ha tolto linfa e ossigeno alla capitale d’Italia, l’hanno chiamata la Banda della Magliana perché è da lì che li stiamo seguendo. Dal quartiere alla periferia di Roma dove hanno affinato le loro attitudini bestiali: rapine, rapimenti, colpi bassi, colpi alla nuca; tutte le attività che la peggior specie di uomini riesce a concepire. Criminalità creativa la potremmo chiamare, ne hanno fatte di tutti i colori e  sono tutte sfumature mortali, la cosa che sanno fare meglio infatti è uccidere. Uccidono per soldi, uccidono per vendetta, ma uccidono anche per favore e alla gratitudine che risponde a regole infime e bestiali. Ora però, uno dopo l’altro stanno morendo anche loro, caduti sull’asfalto, precipitati nei buchi neri che hanno aperto in città e a questo punto della storia quello che sta per morire è il capo indiscusso. Il capo di quelli che una volta si chiamavano i Testaccini, ma il due febbraio 1990, mentre sta salendo sulla moto a caccia dell’ultimo trono, lui è convinto di essere l’ottavo re di Roma. “Mio marito non solo è morto incensurato con tutti i documenti validi, passaporto, carta d’identità utile anche per l’espatrio e patente, ma è stato ucciso proprio perché non ne voleva più sapere di certe frequentazioni, quando ci siamo sposati nel 1988, mi aveva promesso che saremmo potuti andare in giro a testa alta senza doverci vergognare di nulla, noi e i figli che progettavamo di fare. Lo hanno ucciso dopo meno di due anni proprio perché stava mantenendo la promessa fattami“. Sono parole di Carla De Pedis la vedova di Enrico per tutti noi boss della Magliana e per lei invece uomo specchiato, uscito senza macchia dai processi intentati alla banda. Nella serie del film Romanzo Criminale, il famoso Dandy sposa Sabrina Minardi, “quello è il film, quello è il Dandy da non confondere con il signor Enrico De Pedis, mio marito” aggiunge la vedova deprecando la Minardi che ormai, tossica e sbandata, fece molte tardive rivelazioni sulla banda e su De Pedis di cui sosteneva di essere stata l’amante per 10 anni.

Sabrina Minardi

Dichiarazioni Minardi

Non so se Enrico abbia avuto con lei una storiella come molti altri, compreso un dirigente di polizia“, sono ancora parole di Carla De Pedis la vedova di Enrico “poiché Enrico non ha mai passato una notte fuori di casa la vedo dura per un amante degna di questo nome. A parte il fatto che Enrico, come qualunque altro uomo non ridotto alla fame, non si sarebbe certo tenuto come amante una donna che di mestiere faceva la prostituta sia pure d’alto bordo.” Il fatto è che Enrico De Pedis, ancor più che col suo nome, lo conosciamo come il Dandy, uno dei protagonisti della serie Romanzo Criminale. Le cronache dicono che è nato nel 1954 a Trastevere, aveva iniziato la sua carriera come semplice scippatore ma Renatino era diverso dagli altri membri della Banda della Magliana, non beveva, non fumava, non tirava cocaina ed era fissato con auto, donne e case tutte ovviamente belle. Per circondarsi di questa bellezza aveva un continuo bisogno di denaro che lo portò a stringere rapporti con il rappresentante di cosa nostra a Roma, Pippo Calò. Mi sono sempre chiesto perché alcuni criminali abbiano espreso la propria vita, ho sentito numerose confessioni e ne ho lette centinaia, in molti casi spiegava di essersi trovato in mezzo a qualcosa più grande di lui ma Enrico De Pedis ha scelto e fortemente voluto tutto quello che ha fatto e alcuni gesti del Renatino della banda della Magliana sembrano essere dettati da un desiderio di morte più che da una volontà di potenza. Per esempio, nel 1989 ha smesso di dare i soldi ai carcerati della banda e alle loro famiglie con la scusa che non provenivano da attività comuni, uno sgarro che non poteva non sapere che avrebbe pagato caro e non poteva non sapere che Marcello Colafigli, evaso dal carcere, si sarebbe vendicato di lui e infatti colafigli convince Angelo Angelotti a fissare un appuntamento con De Pedis il 2 febbraio 1990 a via del Pellegrino nei pressi di Campo dei Fiori a Roma. Quando De Pedis, terminata la conversazione, sale sul suo motorino, viene affiancato da una potente motocicletta con a bordo due killer che gli sparano un solo colpo alle spalle uccidendolo, i due killer pare fossero Dante del Santo detto il Cinghiale e Alessio Gozzani anche se poi quest’ultimo fu scagionato dall’accusa di essere stato alla guida della moto che forse era condotta invece da Antonio D’Inzillo deceduto latitante in Sudafrica nel 2008. La cosa strana è che tutti e tre erano seguiti notte e giorno dalle forze dell’ordine e qualcuno pensa, a causa di questo, che l’omicidio sia stato agevolato. Da chi? ma dai servizi segreti deviati naturalmente.

L’omicidio di Renatino era nell’aria, avevano già provato ad ucciderlo.

Antonio Mancini

Dichiarazioni Antonio Mancini

Dimenticare gli amici è un peccato mortale per chi vive ai margini dell’umanità ma anche la memoria può essere letale. L’hard disk di Renatino è pieno di storie e non più resettabili, memoria difficile da ripulire e forse c’è solo un modo:

Raffaella Fanelli

Dichiarazioni Fanelli

Tra tutte le cose clamorose legate alla banda della Magliana c’è persino un luogo di sepoltura. Chi mai potrebbe immaginare che in un paese democratico, civilizzato, fondatore della comunità europea, che ospita lo Stato della Chiesa, un criminale sia ufficialmente tumulato in una fondamentale Basilica del centro di Roma? la basilica di Sant’Apollinare, costruita nell’ VIII secolo dopo Cristo, Basilica dove, secondo il diritto canonico, possono essere sepolti solo Papi e alte gerarchie prelatesche. Sembra la fantasia di un romanziere allucinato e invece la realtà è che il boss Enrico De Pedis in virtù dell’ essere considerato in Vaticano un benefattore dell’umanità, era tumulato proprio lì, tra papi e cardinali. E come ci era arrivata la salma di De Pedis in una cripta tra gli antichi marmi della Basilica? la moglie Carla Di Giovanni racconta che il giorno del loro matrimonio, celebrato proprio nella Basilica nel 1988, lui, il boss, le disse “il giorno che mi tocca piuttosto che al cimitero mi piacerebbe essere portato qui”. Detto e fatto. Due anni dopo, non ancora 36enne De Pedis viene assassinato, il suo funerale è officiato da Monsignor Vergari, rettore della Basilica che lo aveva conosciuto in carcere e pare che i due si appartassero a parlare per ore e ore. Il corpo viene tumulato al Verano ma subito dopo la vedova chiede la estumulazione e grazie al cardinale Poletti, che alcuni poi diranno essere addirittura il padre biologico di De Pedis, la salma viene portata a Sant’Apollinare. “Il defunto è stato generoso nell’ aiutare i poveri che frequentano la basilica, i sacerdoti e i seminaristi e in suo suffragio la famiglia continuerà ad esercitare opere di carità” questa è la motivazione per la bizzarra scelta dei prelati Vaticani. Nel 2005 però durante una puntata di Chi l’ha visto? dedicata ad Emanuela Orlandi, una telefonata anonima disse che “per arrivare a una svolta nel caso del rapimento bisogna andare a vedere chi è sepolto nella Basilica di Sant’Apollinare e controllare del favore che Renatino fece al Cardinal Poletti”. Seguì uno scandalo, l’apertura della tomba, le analisi del DNA, è anche una mezza benedizione di Giulio Andreotti che dichiarò “per Sant’Apollinare Enrico De Pedis fu un benefattore non per gli altri” ma questo non bastò a far restare De Pedis a  Sant’ Apollinare, si arrivò ad una nuova traslazione della salma nel 2012 con De Pedis portato al cimitero di Prima Porta dove la vedova, per evitare atti di vandalismo sulla sua tomba, lo fece invece cremare e con le ceneri in seguito disperse nel mare. Amen.

Dunque ora è ufficiale quello dentro la basilica di Sant’Apollinare e il corpo dell’ex boss della banda della Magliana Enrico De Pedis. Anche se ancora manca la certezza dell’esame del DNA, che verrà effettuato nelle prossime ore, i rilievi sulle impronte digitali fatti dagli esperti della scientifica non lascerebbero dubbi, si tratta proprio della salma di Renatino. L’ispezione nella tomba è stata disposta dalla Procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. L’apertura del sarcofago è avvenuta nel cortile della Basilica dove la polizia ha allestito una tenda per le operazioni tecniche.

Sul perché di quella sepoltura ne sono state dette tante ma certamente non tutte, al racconto manca qualche pezzo, la versione di Monsignor Vergari poi non convince affatto il più intimo sodale di Renatino, Antonio Mancini:

Dichiarazioni Antonio Mancini 

A questo punto della storia, Giuseppucci detto il Negro è morto, Abbruciati detto il Camaleonte è morto, De Pedis detto Renatino, autoelettosi ottavo Re di Roma è morto anche lui, Abbatino detto Crispino, il cinematografico Freddo è dietro le sbarre, tutti però credono che stia per morire anche lui ma forse non è proprio così. Emiliano Liuzzi del Fatto Quotidiano gli chiede se è vero che si iniettato il virus dell’AIDS per uscire dal carcere ed è così che gli risponde da località segreta Maurizio Abbatino “si è vero. Nonostante certe cliniche romane fossero praticamente a nostra disposizione, che tutti entravamo e uscivamo tutte le volte che volevamo e tutti sapevano. Io mi iniettai il virus dell’AIDS e finsi di non muovere più le gambe e mi ricoverano a Villa Gina, il giorno vivevo su una sedia rotelle la notte invece facevo ginnastica in un bagno di un metro per uno perché non si atrofizzano i muscoli”. Meglio Villa Gina che la galera, dopo l’arresto del 1983 Abbatino capisce che prima o poi però qualcuno verrà a saldargli il conto fuori ciò che rimane della banda della Magliana si sta facendo la guerra e lui ha perso i contatti con gli amici. Meglio andarsene, ed è quello che fa nel marzo del 1986, gli agenti della penitenziaria ormai lo credono davvero paralizzato per un tumore osseo, conseguente all’ AIDS, e non pensano che possa scappare in sedia rotelle ma Abbatino sta in piedi benissimo. Secondo la versione ufficiale Abbatino si è calato dalla finestra con le lenzuola annodate, secondo altri calandosi da una grondaia, secondo altri ancora è uscito con le sue gambe e nessuno lo ha fermato e sparisce così in sud america

Dichiarazioni Antonio Mancini 

In Venezuela. Mica nel Venezuela di Chavez e di Maduro devastato da miseria e violenza ma in quello di Perez il cosiddetto Venezuela Saudita ricco di petrodollari e di belle donne che arrivavano ai primi posti dei concorsi di miss mondo e miss universo. Il Venezuela sull’orlo della crisi ma ancora gaudente e rifugio di tanti italiani, sia imprenditori visionari, sia malfattori in fuga e tra loro in Venezuela ecco spuntare il nostro Crispino, cioè il nostro Abbatino individuato laggiù dalla Criminalpol nel 1991 grazie ad una telefonata alla madre per gli auguri di Capodanno

Nicolò D’Angelo

 Dichiarazioni Nicolò D’Angelo

Rimanere latitanti stile Abbatino è sempre più difficile al giorno d’oggi. Tra GPS e carte di credito, cellulari, connessioni internazionali, gli investigatori possono tracciare più facilmente i fuggitivi e riconoscere attraverso il DNA, una volta catturati magari con la plastica facciale, oppure morti e sepolti. Presso la Criminalpol è il gruppo integrato interforze per la ricerca di latitanti più pericolosi chiamato GIIRL. La sede è presso la Criminalpol ed è composto da appartenenti della Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, servizi antidroga DIA e servizi segreti e il GIIRL gestisce le problematiche legate latitanti. Il gruppo di lavoro istituito nel 1994 è presieduto dal vice capo della Polizia che regge la Direzione centrale. Periodicamente il gruppo si riunisce e aggiorna due distinti elenchi, quello dei “30 latitanti di massima pericolosità” e quello dei “100 latitanti più pericolosi“. Se poi i latitanti sono evasi, a dar loro la caccia vi è anche il NIC, (Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria) e pare siano dei segugi spietati.

  Dichiarazioni Antonio Mancini 

Nel 1996 parte il grande processo alla Banda:

Intro processo alla Banda

Quando arrestarono Abbatino era un uomo con un curriculum criminale da brividi e sapeva benissimo che nel fare quella telefonata si sarebbe consegnato, ma non ne poteva più di vivere da latitante in un  Venezuela che si avviava a diventare uno stato di polizia sull’orlo dell’insurrezione, in seguito sarà lui stesso a dichiarare che non sopportava più la latitanza. Disse in un’intervista che non si era consegnato, ma non aveva fatto nulla per sfuggire alla cattura, la racconta, quella telefonata, come se fosse stata una versione del gioco ferale della roulette russa, spari e non sai se il colpo è nel caricatore. In seguito Abbatino dirà che decise di collaborare con la giustizia e farà arrestare i suoi ex compagni perché non si sentiva più protetto e soprattutto perché dopo aver ammazzato suo fratello lo avrebbero fatto anche con lui. Roma era il far west e lui non ne era più il re:

 Dichiarazione Maurizio Abbatino

L’operazione Colosseo in fondo è merito degli anni di piombo, non ci fosse stato il terrorismo non si  avrebbe avuto una prima legge sui pentiti, quella del 1980, e non ci sarebbe stata quella del 1991 che introduceva il termine collaboratore di giustizia perché pentito suonava un po’ male. Fu grazie alla nuova formulazione, che prevedeva protezione e una nuova identità, se Abbatino raccontò quello che sapeva, o una parte di quello che sapeva, e lo fece da subito, appena messo piede giù dall’aereo che lo riportava dal sud America con le manette ai polsi. Abbatino avrebbe potuto ripartire da zero e si condannavano 12 omicidi e violenze assortite in cambio dell’ arresto degli ex compagni, una scelta razionale che non si può non condivide ma che lascia l’amaro in bocca. Quando inizia il processo, il protagonista è lui, Maurizio Abbatino la giornalista Raffaella Fanelli che qualche anno dopo lo incontrerà lo definisce così:

 Dichiarazioni Raffaella Fanelli

Il 3 ottobre del 1995, dopo alcuni periclitanti processi in cui non erano state ritenute valide le testimonianze dei pentiti, si apre nell’aula bunker della palestra olimpionica del Foro Italico di Roma il maxi processo alla banda della Magliana. Novantacinque  imputati con capi di imputazione quali traffico di stupefacenti, estorsioni, riciclaggio di denaro sporco, speculazioni edilizie commerciali, omicidi, rapine e soprattutto associazione a delinquere di stampo mafioso. Nove mesi dopo il processo si chiuse con condanne per quasi 5 secoli di carcere, sei ergastoli pene variabili tra i 2 e i 30 anni di reclusione 17 assoluzioni. Il più condannato di tutti è Raffaele Pernasetti che si beccò 4 ergastoli mentre due li prese Giorgio Paradisi e uno il Colafigli, tra i condannati compare anche con 10 anni di pena Massimo Carminati cioè colui che secondo Maurizio Abbatino, intervistato in una località segreta nel 2015, sarebbe poi diventato, scontata la condanna del maxiprocesso, il nuovo re di Roma.

Maurizio Abbatino

Il vero e proprio processo alla banda della Magliana comincia il 3 ottobre del 1996 Ma già il sodalizio criminale, o quello che ne rimaneva, a gennaio aveva già preso un duro colpo con il processo per Il rapimento Grazioli. Il PM De Gasperis avrebbe voluto dare alla banda l’articolo 416 bis (associazione di tipo mafioso) in quanto si contraddistinsero per omertà, connivenza con il terrore, paura come faceva la mafia, ma alla fine l’ergastolo arrivò solo per i tre membri della batteria di Montespaccato mentre a tutti gli altri, tranne abbatino, vennero dati vent’anni. Il 3 ottobre successivo però arriva il nuovo processo con molti più capi di imputazione In pratica tutti quelli del Codice Penale o giù di lì i due imputati eccellenti sono Maurizio abbatino ed Enrico Nicoletti, il cassiere della banda, ma alla sbarra ci sono altre 96 persone tra manovali e caporioni tra questi anche Massimo Carminati che nelle foto d’epoca impossibile da confondere con la benda Bianca sull’occhio. Mancano solo i morti.

Quando il processo finisce, Abbatino esce di scena, ha mandato in carcere gli amici e gli ex amici che gli erano rimasti inizia così una vita sotto protezione ma ha paura perché cose strane gli stanno per succedere i suoi nemici, quelli che lui ha mandato in carcere, non sono ancora morti lo stato però gli toglie la protezione ed è in quel momento che incontra Raffaella Fanelli:

Dichiarazioni Raffaella Fanelli  

La storia della narrativa di genere è una storia di censure, i gialli furono boicottati durante il fascismo,  Diabolik e Kriminal sequestrati dalle edicole, mandate al rogo le pellicole più violente e sexy La scusa è sempre la stessa possono indurre in tentazione, traviare le giovani menti, che è la stessa scusa sollevata quando uscì Romanzo Criminale e che continua a essere sollevata oggi per Gomorra la serie. La gente però, delinqua o non delinqua in base alle proprie condizioni di vita e alla propria educazione non in base a quello che vede in tv o legge in un libro. Le fiction, i romanzi thriller sono divertenti, possono raccontarti un pezzo di storia che non conosci, ma non ti cambiano né in meglio né in peggio, danno solo un nome alle tue follie, altrimenti, vista la quantità di Bibbia e venduto nel mondo saremo tutti dei Santi.

Periodicamente ricompare la solita sfiatata polemica, Romanzo Criminale, e in questi giorni se ne parla soprattutto a proposito di Gomorra, sarebbero opere librarie, televisive e cinematografiche che esaltano cattivi modelli. Creano eroi negativi influenzando giovani menti che decidono di emulare le gesta dei criminali, inoltre darebbero una rappresentazione falsata enfatica della società come se ci fosse solo crimine, forze dell’ordine corrotte o inermi, servizi segreti deviati, politica connivente. Uno psicanalista direbbe che invece si tratta di pure proiezioni, ossia, Chi coltiva dentro di sé il male lo vede nel film, nel libro, nella serie televisiva e non lo introietta perché è già suo, si limita a riconoscerlo. Altri, più pacificati, trovano invece in queste opere una sorta di sollievo, il sollievo di isolare il male in un contenitore e di non farne parte perché rimane cristallizzato tra le righe e sullo schermo e nel contempo osservano le vite che vi si agitano, gli ammazzamenti, le congiure, i tradimenti e regolamenti di conti, evasioni, penitenziari, latitanze e si chiedono: ma perché? Ma che razza di vita non vita procura il far parte di una banda? Che disastro esistenziale? che bruttezza? quanto sangue, quanta disperazione e poi di nuovo, che fortuna non essere cresciuti in un ambiente corrotto, non essere parte di quel mondo, limitarsi a leggere, ascoltare e guardare confortevolmente sprofondati nella poltrona di casa.

dal sito di Mons.Pietro VERGARI

Tra le più belle esperienze della mia vita sacerdotale in Roma, innanzi tutto l’impareggiabile servizio ecclesiale nella Curia Romana, poi la visita agli ammalati negli ospedali di S. Giovanni, S. Spirito, allo Spallanzani nel reparto “malattie infettive”, il lavoro per le vocazioni sacerdotali, mi è stata carissima quella della visita alle carceri di Regina Coeli, per quasi venticinque anni, ogni sabato sera, dove potevo portare una parola di conforto e di speranza alle persone detenute e di conseguenza ai loro familiari. Quelle visite mi ricordavano continuamente le parole di commento al Vangelo di Matteo 25, alle Opere di Misericordia, del grande vescovo di Costantinopoli S. Giovanni Crisostomo, in cui dice che nella persona bisognosa o sofferente tu visiti o incontri il Cristo stesso, come vivo; (Ero carcerato e siete venuti a trovarmi).

      Nel carcere mai ho domandato a nessuno perchè era là o che cosa aveva fatto. Tra le centinaia di persone incontrate dei più diversi stati sociali, parlavamo di cose religiose o di attualità; Enrico De Pedis veniva come tutti gli altri, e fuori dal carcere, ci siamo visti più volte: normalmente nella chiesa di cui ero rettore, sapendo i miei orari e altre volte fuori, per caso. Mai ho veduto o saputo nulla dei suoi rapporti con gli altri, tranne la conoscenza dei suoi familiari. Aveva il passaporto per poter  andare liberamente all’estero. Mi ha aiutato molto per preparare le mense che organizzavo per i poveri. Quando seppi dalla televisione della sua morte in Via del Pellegrino, ne restai meravigliato e dispiacente.

       Qualche tempo dopo la sua morte i familiari mi chiesero, per ritrovare un po’ di serenità, poiché la stampa aveva parlato del caso e da vivo aveva espresso loro il desiderio di essere un giorno sepolto in una delle antiche camere mortuarie, abbandonate da  oltre cento anni, nei sotterranei di S. Apollinare, di realizzare questo suo desiderio. Furono chiesti i dovuti permessi religiosi e civili, fu restaurata una delle camere e vi fu deposto.

       Anche in questa circostanza doveva essere valido come sempre, il solenne principio dei Romani ” Parce sepulto “: perdona se c’è da perdonare a chi è morto e sepolto. Restammo d’accordo con i familiari che la visita alla cappella funeraria era riservata ai più stretti congiunti. Questo fu osservato scrupolosamente per tutto il tempo in cui sono rimasto rettore, fino al 1991.

Mons. Piero Vergari

Roma, 3 ottobre 2005                                                          

             Parce sepulto                                                             De mortuis nil, nisi bene
  ( Perdona a chi è morto e sepolto )                              ( dei morti non si deve dire altro che bene )
                [ VIRGILIO ]                                                                      [ OMERO ]

Una risposta a “La Banda della Magliana (quarta parte)”

  1. Cosa commentare? Cosa dire di una città, forse la prima al mondo, preda di tutti questi infami nell’indifferenza o nella complicità di chi realmente la tenga sotto schiaffo e cioè le gerarchie vaticane?
    Sono avanti con l’età e ho tre nipoti a cui verranno lascietae in eredità sporcizia ed infamità… Quando son diventata cosciente di me stessa vedevo innanzi un futuro arcobaleno, che dire se ora vedo il loro a tinte fosche?
    Non c’è, non esiste angolo del mondoche non sia stato inquinato, direttamemte o indirettamente, materialmente pur eda tanta lurida sporcizia….
    Infine pena per Emanuela, piccolissima tessera innocente inserita in un mosaico enorme di infamità.

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