Il sequestro di Amedeo Ortolani

Il 10 giugno del 1975 alle ore 08,45 due banditi vestiti con divise dei Carabinieri, bloccano la Fiat 132 blu di Maria Amedeo Ortolani, fanno scendere il suo autista e lo rapiscono. All’epoca del sequestro aveva 33 anni e una brillante carriera alle spalle, da due mesi era il presidente della «Voxson», alle sue spalle ci sarebbe stata una grande società finanziaria controllata dallo Stato. Giornalista professionista aveva diretto una agenzia di stampa, la «Stefani», uno strano residuo dell’agenzia che deteneva il monopolio dell’ informazione durante il regime fascista. Ha amministrato e diretto la «Delfino Immobiliare», che aveva sede nella sua abitazione, sposato con Fiorella Pizzicanella e padre di tre gemelle, Monica, Silvia e Michela. Il sequestro durò 11 giorni dopo che il padre, Umberto Ortolani, pagò un riscatto di 800 milioni di lire. Due anni dopo gli fu emesso un mandato di cattura dal giudice Fiore per associazione a delinquere, truffa, concorso in peculato e in falso per aver truffato lo Stato con una serie di illeciti rimborsi per un valore di 468 milioni di lire.

“La Stampa” 2 luglio 1977

 

Ma la sua figura resta incompleta se non si parla anche della sua famiglia e soprattutto del padre, l’avvocato Umberto Ortolani, legato tanto agli ambienti vaticani (fu presidente dell’«Ordine del Santo Sepolcro» per il Lazio), quanto ai dirigenti della Democrazia Cristiana (DC) e dalla lunga amicizia con Ferdinando Tambroni

Licio Gelli, da anni, lo chiama semplicemente Baffino, (per la cura maniacale che dedicava ai suoi sottili baffetti, corvini di tintura come i capelli) come si trattasse di un vecchio compagno di scuola o di un amico con il quale si sono fatti mille bagordi in giro per il mondo. E di cose insieme, in giro per II mondo, il capo della Propaganda Due (P2) e Umberto Ortolani ne hanno fatte davvero parecchie; in Italia come In Sud America, negli Stati Uniti come alle Bahamas. Ortolani è l’uomo chiave di tante misteriosissime vicende legate alla P2, al crollo del Banco Ambrosiano, alla complessa e difficile situazione dello IOR di Marcinkus. Amico del bancarottiere Michele Sindona, socio in affari appunto con Gelli, consigliere e consulente di Roberto Calvi, grande manovratore nell’affare Enl-Petromin, padrone all’interno della Rizzoli e del Corriere della Sera; è un uomo ricchissimo. In Brasile e In Uruguay è un grande proprietario terriero: possiede piantagioni valutate milioni di dollari, appartamenti e alcune industrie. Proprietario del Bafisud, Il Banco Finaciero di Montevideo che contava, tra gli azionisti  il Banco Atlantico di Madrid, la Banca Nazionale del lavoro, il Banco di Sicilia e il vecchio Banco Ambrosiano. Proprio nelle casse del Bafisud sono stati trovati, ventuno milioni di dollari arrivati, per ordine diretto di Calvi, dall’Ambrosiano di Managua. Dovevano servire per un finanziamento estero su estero ad un partito politico governativo italiano.

Un mago della finanza internazionale, “Baffino”  si laurea in Giurisprudenza e riesce a farsi assumere all’ufficio legale delle Ferrovie. E’ un tipo svelto, capisce subito che quello non è un buon sistema per far quattrini e nel 1945 lascia già le Ferrovie per darsi all’attività di consulente. Lascia i socialisti e si butta con i democristiani, agli amici racconta che “è stata una autentica folgorazione, ho sognato la Madonna, e lei mi ha indicato la via“. Si trattasse o meno di un consiglio così autorevole, certo era un buon consiglio: Ortolani entra nelle grazie del cardinale Giacomo Lercaro, che lo introduce nei circoli della sinistra DC bolognese.

Mons. Giovanni Battista Montini

E’ il 1955 quando l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini elegge a suo consulente finanziario Michele Sindona (massone dell’obbedienza di Piazza del Gesù, fa parte della loggia coperta “Giustizia e Libertà“). Nel 1960, probabilmente grazie ai buoni uffici dell’arcivescovo Montini, la società Fasco Ag di Michele Sindona, domiciliata in Liechtenstein, acquista dal presidente dello IOR Massimo Spada il pacchetto di maggioranza della Banca Privata Finanziaria. E’ l’inizio dell’ascesa di Sindona. Il 3 giugno 1963 Giovanni XXIII muore e viene convocato il conclave per eleggere il nuovo papa. Pochi giorni prima, i cardinali, guidati da Giacomo Lercaro di Bologna, si riunirono in una villa di Grottaferrata di proprietà di Umberto Ortolani, dove, protetti dalla notte e dagli agenti dell’Entità (servizio segreto vaticano ndr) incaricati di sorvegliare le eminenze prima del conclave, venne deciso il nome del candidato da appoggiare. Il prescelto fu proprio quel Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, che era a conoscenza della riunione svoltasi in casa del famoso membro della massoneria. Il conclave iniziò il 13 giugno del 1963 e due giorni dopo, alla quinta votazione, il sessantacinquenne cardinale Montini fu eletto papa e adottò il nome di Paolo VI. L’incoronazione ebbe luogo nove giorni dopo. Il nuovo papa, la cui candidatura parrebbe essere stata così caldamente appoggiata dalla massoneria, apre le porte del Vaticano a Sindona (P2), Calvi (P2), Gelli (P2) e Ortolani (P2), quindi consegna lo IOR nelle mani Marcinkus. In effetti lo IOR rappresenta per i faccendieri di loggia una manna. Viene loro offerta, infatti, la possibilità di operare con un Istituto che, non è tenuto a nessun tipo di informativa, non è tenuto a pubblicare un bilancio o un consuntivo sulle proprie attività, i conti sono numerati, (né nominativo né foto del correntista), che non rilascia ricevute delle operazioni, né documenti contabili, il conto, infine, può essere aperto in qualsiasi valuta, il denaro, senza né limiti né vincoli, può essere movimentato su qualsiasi banca del pianeta senza essere soggetto ad alcun controllo.

I faccendieri di loggia utilizzano lo IOR per esportare fondi neri e riciclare denaro, come conferma anche Sindona: “Lo IOR apriva un conto corrente con l’istituto di credito italiano che voleva esportare lire in nero. Il cliente della banca italiana depositava i soldi liquidi sul conto e lo Ior provvedeva ad accreditarglieli all’estero, nella valuta e presso la banca che gli erano state indicate. Nell’eseguire l’operazione, lo Ior distraeva una commissione poco più alta della normale. La Banca d’Italia ed altre autorità non hanno mai interferito […]. Sono al corrente di queste cose perché lo Ior agiva in questa veste per conto di miei clienti della Banca Privata Finanziaria e della Banca Unione” .

Umberto Ortolani

Ortolani divenne amministratore della Ducati. Si lega poi a Ferdinando Tambroni, di cui diventa uno stretto collaboratore e si lancia in un’altra delle sue attività preferite: la carta stampata. Finanzia il quotidiano Telesera, tenta il rilancio della vecchia Agenzia Stefani, fonda l’ Agenzia Italia con denari americani dell’ European Reconstruction Program. Quando, nei primi anni Sessanta, Tambroni cade politicamente in disgrazia, Baffino non ha difficoltà a continuare la carriera. Diventa presidente dell’ INCIS, il famoso ente per le case agli statali, ed essendo ormai ben accetto in Vaticano, collabora attivamente ai più lucrosi e nefasti affari della speculazione edilizia. Nel 1962 fà la sua comparsa in Sud America, e a Buenos Aires compra il Corriere degli italiani, un notissimo giornale per gli emigranti che gli serve per ottenere dalla Farnesina finanziamenti destinati alla stampa italiana all’ estero. Dopo averlo quasi distrutto e ridotto alla mera sopravvivenza, quindici anni più tardi  era riuscito a venderlo per diversi miliardi alla Rizzoli, così come aveva venduto all’ ENI, l’Agenzia Italia.

L’ inizio degli anni Settanta lo vede trionfante: gode di ottime entrature nella Democrazia Cristiana  e in Vaticano, il presidente Leone lo nomina Cavaliere di Gran Croce, vanta amicizie che vanno da monsignor Marcinkus a monsignor Silvestrini, e proprio a casa di Angelo Rizzoli conosce nel 1976 monsignor Agostino Casaroli. Baffino è diventato un grande mediatore e si occupa di faccende assai delicate e redditizie: dalla sistemazione della Generale Immobiliare dopo il crack Sindona, alla vendita del 6 per cento dell’ Ambrosiano da parte della famiglia Rizzoli, ancora ai finanziamenti alla Rizzoli e all’aumento di capitale della casa editrice del 1977, quando le azioni finiscono in pegno al Credito Commerciale e vengono poi girate alla commissionaria Giammei, fiduciaria del Vaticano. Una potenza, insomma, e la sua capacità di raggiungere qualsiasi ambiente e di mettere a segno affari con chiunque è legata all’appartenenza alla Loggia Propaganda Due. Nel 1980 Ortolani è addirittura presidente della Federazione mondiale della stampa italiana all’estero, un istituto che riceve forti finanziamenti dello Stato. Poi è dirigente dell’EAGAT l’ente terme. I palazzi del potere a Roma, per lui sono sempre aperti cosi le segretissime stanze del Vaticano.

Carmine Pecorelli (Mino)

Quando si rivolge a Gelli perchè la rivista –OP– di Mino Pecorelli (il giornalista assassinato) lo ha attaccato più di una volta, Gelli interviene e –OP– tace subito. Da quel giorno, il rapporto tra i due diventa strettissimo, il capo P2 chiede ad Ortolani di entrare nella loggia e Baffino non esita un istante: spedisce ad un notaio una lettera nel quale dice di essere cattolico e credente, ma di aver dovuto scegliere la massoneria per cause di forza maggiore. Una sorte di riserva scritta e in molte occasioni negherà di aver fatto parte della P2 quando invece era uno dei personaggi di assoluto spicco tanto che, Clara Canetti, la vedova di Roberto Calvi, quando stilò davanti ai magistrati la sua personale graduatoria dello Stato Maggiore Piduistico mise al primo posto Giulio Andreotti, secondo Umberto Ortolani, terzo Francesco Cosentino, segretario della Camera, e solo al quarto posto, Licio Gelli. Dal registro degli iscritti sequestrato a Castiglion Fibocchi Ortolani risulta avere la tessera n. 1622 con il codice E1977. 

 

Roberto Calvi, che come banchiere non era l’ ultimo arrivato, dovette sottostare alle ripetute e costosissime mediazioni di Ortolani e Gelli e saranno proprio le manovre intorno alla Rizzoli, quelle per portare il Corriere della Sera nelle mani della Loggia anche dal punto di vista azionistico, a portar sfortuna ad Ortolani. Le accuse nei suoi confronti per il crack dell’Ambrosiano vengono di lì, dai novanta milioni di dollari che Baffino avrebbe incassato sottobanco dopo che l’affare era già sfumato. 

“L’Unità” 26 giugno 1989

Ortolani si rende latitante, inseguito da due mandati di cattura internazionali, viene anche accusato (ma poi sarà prosciolto) per il coinvolgimento nella strage di Bologna. Rifugiatosi a San Paolo, il Brasile si è sempre rifiutato di arrestarlo perché, dal 1978, aveva preso la cittadinanza brasiliana.
Il 21 giugno 1989, Ortolani rientra in Italia e all’aeroporto di Malpensa, la Guardia di Finanza gli notifica due mandati di cattura per bancarotta fraudolenta. Viene rinchiuso nel carcere milanese di Opera ma, pagando una cauzione di 600 milioni di lire, dopo una settimana è di nuovo libero. Nel 1994 viene condannato a quattro anni di reclusione per concorso in bancarotta nell’ambito della gestione della Rizzoli. Nel 1996, nel processo a carico della loggia P2, viene assolto dall’ accusa di cospirazione politica contro i poteri dello Stato ma nell’aprile del 1998 la Corte di Cassazione conferma e rende definitiva la condanna a 12 anni per il crack del Banco Ambrosiano. Ortolani, che vive a Roma, non torna in carcere a causa delle sue cattive condizioni di salute e il Tribunale di Sorveglianza di Roma sospenderà l’esecuzione della pena a causa della sua malattia. Morirà il 17 gennaio 2002.

Ma veniamo ad Albert Bergamelli del Clan dei Marsigliesi che quando il 29 marzo 1976 fu arrestato a Roma e disse:

«Se mi avete preso, vuol dire che qualcuno mi ha tradito. Ma la pagherà cara, perché sono protetto da una grande famiglia».

Marsigliesi
Albert Bergamelli

I cronisti presenti annotano distrattamente la frase ma il prigioniero è consapevole che stanno assistendo all’inizio dell’irreversibile declino di uno dei più grossi criminali del dopoguerra, la cui fase ascendente era trascorsa dall’esperienza del riformatorio ai grandi interessi internazionali, coperti dall’ombrello della massoneria deviata.
Perché alle minacce di Albert Bergamelli possa darsi un senso preciso, sarebbe necessario, infatti, interpolare nella sua frase sibillina soltanto una sigla: «P2». Lì per lì, invece, a nessuno viene in mente. Eppure, col senno di poi, tutto sembrerebbe portare alla famigerata Loggia massonica Propaganda Due: Piduisti sono molti dei facoltosi personaggi sequestrati; piduista è il difensore-imputato, poi assolto, l’avv. Gianantonio Minghelli; piduista il commissario romano che arrestò materialmente il boss marsigliese, il dottor Elio Cioppa. Bergamelli stesso, del resto, già nel 1973, era stato indicato come amico di Licio Gelli, il quale, naturalmente, aveva smentito. Ma soltanto in seguito si apprenderà come dall’istruttoria sui rapimenti stiano venendo fuori, a poco a poco, tanti elementi che porteranno a scoprire gli ultimi sconcertanti gradini della scalata di Albert Bergamelli, non ultimi gli intrecci sorprendenti tra criminalità comune, politica e finanza.
Neppure tre mesi dopo il clamoroso arresto del boss, il 10 luglio 1976, con una raffica di mitra verrà ucciso a Roma, da un commando fascista guidato da Pierluigi Concutelli, il sostituto procuratore Vittorio Occorsio, titolare di quella inchiesta, oltre che il primo ad aver ipotizzato possa essere la massoneria a tirare le fila del terrorismo, utilizzando sia rossi che neri.

Il giorno prima di essere ucciso, il magistrato, parlando con un giornalista, ha fatto notare che il totale della cifra pagata per i riscatti dei rapimenti per cui Albert Bergamelli era stato arrestato, il sequestro di Amedeo Maria Ortolani, figlio di Umberto Ortolani, braccio destro di Licio Gelli, nonché quelli di Alfredo Danesi e di Giovanni Bulgari, entrambi iscritti alla P2, corrisponde esattamente alla cifra spesa per l’acquisto della sede dell’Ompam, cioè l’Organizzazione Mondiale del Pensiero e della Assistenza Massonica, una superloggia internazionale con sede a Montecarlo, fondata da Licio Gelli nella primavera del 1975.

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