Gianluigi Nuzzi: “L’italia e il segreto: dai grandi gialli al Vaticano”

Rassegna Lezioni d’autore: Gianluigi Nuzzi al teatro Comunale di Porto S.Giorgio (FM) ad un anno dalla pubblicazione del saggio “Via Crucis” che lo ha portato in Tribunale per la divulgazione di scandali e ricchezze non dichiarate del Vaticano, parla del futuro della libertà di stampa e fa un quadro preoccupante della possibilità di fare in Italia giornalismo di inchiesta.

di Cloud

Ero partita con l’idea che fosse un incontro per parlare dei suoi libri, ma subito dopo le prime battute ho dovuto ricredermi in pieno.  Nella serata al Teatro comunale di Porto San Giorgio, per la rassegna “Parlare Futuro” patrocinata dal Comune ospitante, Gianluigi Nuzzi ha voluto fare un discorso semplice, chiaro e diretto su quello che sono oggi i misteri nuzzi_teatronel nostro paese:  “L’Italia è il paese dei segreti” afferma, “Il Segreto in Italia è la scatola nera dei fatti che accadono, fatti, che noi non conosciamo”. In tutti questi anni, ci ha spiegato di aver avuto sempre la concreta sensazione che noi italiani, ed in primis i giornalisti, siamo sempre rimasti in uno stato di superficie rispetto ai fatti che accadono. Prendendo una citazione dell’ex Magistrato Gherardo Colombo, noto per le inchieste sulla Loggia P2 e Mani Pulite fra le tante,  il suo intervento ha esordito così: “L’Italia è il paese del ricatto. Il potere si alimenta di segreti, quindi, l’informazione diventa merce di scambio-moneta.   Si riesce a fare carriera e si è parte del ‘Sistema’  solo se una persona è ricattabile”. Bomba lanciata senza timore, seguita dall’esame di alcune delle più oscure vicende del nostro paese: dall’episodio suicidio/omicidio di Roberto Calvi ai traffici dello IOR, da Andreotti alla nostra cara Emanuela Orlandi. Fa nomi e cognomi, il giornalista, lasciando noi ad ascoltare con estrema attenzione le sue analisi, tutte fondate, dei fatti. Ma  andiamo con ordine.

Roberto CALVI

E’ proprio di questi giorni la notizia dell’archiviazione dell’inchiesta bis su Roberto Calvi. Il GIP ha preso atto che nonostante tutte le risultanze portassero ad ipotizzare l’omicidio del banchiere, non è stato possibile dare il valore di prova agli elementi raccolti. Infatti, tutte le motivazioni della sentenza di assoluzione delle persone che erano accusate di aver concorso nell’omicidio del banchiere del Banco Ambrosiano, avvenuto il 18 giugno 1982, di cui era nota la frequentazione con persone non nobilissime come Licio Gelli, Paul Casimir Marcinkus, o Michele Sindona, sono cadute una ad una.

Per anni si è dato credito alla versione che si trattasse di suicidio. Ma analizzando le carte si può chiaramente escludere questa ipotesi: Nuzzi ci spiega, infatti, come la dinamica dell’accaduto non regge nella ricostruzione. Il Giudice Otello Lupacchini che dispose la riesumazione e l’autopsia, ha chiaramente respinto la tesi spiegando che un uomo di più di 60 anni non avrebbe potuto fare ciò che si ipotizza senza sporcarsi in alcun modo le mani, e soprattutto le unghie. Come avrebbe potuto un uomo di quell’età, camminare lungo il Tamigi, riempirsi le tasche di sassi, legarsi con una corda facendo un doppio nodo marinaro dopo un improbabile lancio sul ponteggio sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra, concludendo l’impresa arrampicandosi verso il punto dove è stato trovato? Impossibile. Certo è, invece, che tutti gli inquirenti italiani che hanno sostenuto il contrario, avvalorando l’ipotesi del suicidio, hanno fatto carriera. “Un caso?” dice Nuzzi. Sarà, ma non isolato nel quadro dei misteri italiani.

Le tangenti dello IOR

Continua facendo un salto in avanti: fino a qualche anno fa i bilanci dello Stato Vaticano erano segreti. Non è un caso che il fatturato dello IOR, destinava solo l’1 o il 2 per cento alle opere di religione. Il suo presidente, negli anni che riguardano la scomparsa di Emanuela Orlandi e proprio mentre Calvi veniva trovato morto a Londra, era il conosciuto Paul Casimir Marcinkus. Di origini lituane, l’arcivescovo americano era nato in un sobborgo di Chicago, a Cicero. Il padre era uno degli autisti di Al Capone che, proprio a Cicero, aveva il suo quartier generale. Altro caso….

Negli ultimi anni di gestione dello IOR da parte di Marcinkus,  fra gli anni ‘80 e ’90 precisamente, viene chiamato a  “sistemare” una situazione di

Gianluigi NUZZI

scandali e poca chiarezza in Vaticano il Monsignor Renato Dardozzi, plesbitero italiano. Si doveva fare in modo che certe voci si silenziassero e nello stesso tempo, evitare che i cristiani cattolici venissero a  sapere cose poco attinenti alla Cristianità. Dardozzi si trova a gestire un archivio di notizie fatto di scandali e fiumi di denaro che, per sua volontà dopo la morte, viene reso pubblico lasciando tale disposizione ai suoi esecutori testamentari. Qui c’è l’unico accenno da parte di Nuzzi ai suoi libri: ci spiega infatti come, tali gli esecutori testamentari del Monsignore parlino di questa volontà ad un amico (Maurizio Ferrini, comico conosciuto con il nome della “Signora Coriandoli” ndr), che riporterà tutto ad un altro giornalista, il quale diverrà portatore di tali segreti. Nuzzi, a sua volta, riceve queste confidenze dal collega, e viene in contatto con questi quattromila documenti, costituiti da carte-lettere, relazioni, bilanci, verbali, note contabili, bonifici, missive tra le più alte autorità Vaticane. Da qui scaturirà la divulgazione degli scandali e delle ricchezze non dichiarate della Santa Sede descritte nel suo libro “Vaticano Spa”. In esso infatti, si racconta come lo IOR fosse attivo nel riciclaggio di denaro sporco, legato a tangenti (fra tutte, la più grande tangente della storia italiana, quella Enimont),  e di supporto finanziario alla Mafia, oltre ad essere attivo nella fondazione di un partito di centro destinato a sostituire la Democrazia Cristiana, crollata dopo tangentopoli. A seguito del processo e della diffusione della notizia del riciclaggio della tangente sotto forma di Titoli di Stato presso un sistema di conti cifrati dello IOR, la Santa Sede inizia a tremare. All’interno delle mura vaticane è forte il timore di essere coinvolti in “Mani Pulite”. Il Presidente dello IOR succeduto a Marcinkus, l’economista Angelo Caloia, scrisse preoccupato al Segretario di Stato una missiva: “Dobbiamo evitare che OMISSIS venga coinvolto in Mani Pulite”. Sul conto di “OMISSIS” era infatti passata una parte di quella tangente. Esso era intestato ad una fondazione benefica inesistente, la “Fondazione Cardinale Francis Spellman”, ma si scoprì solo molto dopo che il vero detentore era nient’altro che Giulio Andreotti. Nonostante questi elementi, emersi in corso di processo, va precisato tuttavia che la figura di Giulio Andreotti rimase sempre estranea alla vicende processuali. In parole brevi, riuscirono nell’intento di non implicare in tali faccende OMISSIS. Perché tanta apprensione?  Per un motivo semplice: era molto probabile che Andreotti divenisse Presidente della Repubblica e perché in Vaticano ben sapevano che i Magistrati di Milano di quella tangente avevano scoperto solo una metà, mentre c’è ne era un’altra ancora ignota. “Il segreto”, sottolinea ancora Nuzzi.

Emanuela ORLANDI

Nuzzi inizia a parlare di Emanuela partendo dal rinvenimento della cassetta audio fatta trovare alla famiglia successivamente alla scomparsa della ragazza avvenuta il 22 giugno del 1983 all’uscita dalla scuola di musica di piazza S. Apollinare a Roma, subito dopo la sua lezione di flauto traverso.

Tale cassetta non fu presa in considerazione (si è fatto credere che fosse la registrazione di un film porno, probabilmente per porre fine celermente alle indagini). Ma a distanza di 30 anni, il Magistrato Giancarlo Capaldo, riascolta la cassetta ad orecchio e, per essere più sicuro, fa fare una consulenza scientifica dalla quale emerge, in maniera inequivocabile, che quella era la voce di una ragazza sofferente, terrorizzata e seviziata. Contro tutti Capaldo va’ avanti, ma il Dr. Pignatone,  magistrato della Procura di Roma,  chiede comunque l’archiviazione del caso il 30 settembre 2015 e la relativa firma in via definitiva a maggio di quest’anno. Perché? Lo stesso Capaldo rivela a Nuzzi che solo nel 2014 ebbe modo di trovarsi davanti ad almeno sei depistaggi.

A pensar male si fa peccato, certo, ma la constatazione che anche in questo caso gli inquirenti che lavorarono alla vicenda finiranno per avere poi delle carriere incredibili è palese. “Forse sarà una esagerazione” dice Nuzzi.

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Emanuela ORLANDI

Ma ci sono tante stranezze nella triste storia di Emanuela. Per esempio, l’emblematica figura di Don Piero Vergari, rettore della Basilica di S.Apollinare fino al 1991. Personaggio scomodo ed  imbarazzante per la Santa Sede, Vergari è venuto alla ribalta per motivi pessimi, ovvero, varie intercettazioni telefoniche erotiche con un Diacono, tra le quali ne spunta anche una in cui il Vaticano lo invita a “stare attento a parlare al telefono” e questo, appena dopo due giorni che è stato posto sotto osservazione da parte della Procura di Roma. Finisce indagato per la scomparsa della ragazza dopo 20 anni dall’accaduto. Ma il motivo ben più noto del suo ipotetico coinvolgimento viene da una telefonata arrivata alla trasmissione di “Chi l’ha Visto?”, da anni al fianco di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, per la ricerca della verità su sua sorella.

Qualcuno che, nel settembre 2005, invitava a controllare chi fosse sepolto e perché in quella Basilica, insieme a grandi prelati, benefattori e uomini di un certo spessore, e ad indagare su quale tipo di favore fosse stato fatto al Cardinal Poletti, ovvero l’Arcivescovo Vicario di Roma all’epoca.

Stiamo parlando di Enrico De Pedis, cassiere dei Testaccini, indiscussi padroni del malaffare a Roma in quegli anni. Proprio lui viene sepolto lì, avendo ricevuto il Nulla Osta del Vaticano fatto firmare proprio dal Segretario di Poletti, il Monsignor Francesco Camaldo, mandato avanti per trattare questa imbarazzante sepoltura.

Un caso che quest’ultimo fosse ben conosciuto dalla vedova del defunto? Forse.

Fatto sta che la signora aveva inizialmente sepolto il marito al cimitero del Verano in una tomba della famiglia, per poi riuscire a farne tumulare la salma a Sant’Apollinare grazie proprio al via libera ottenuto in relazione ad una dichiarazione scritta del Monsignor Piero Vergari: “Si attesta che il signor Enrico De Pedis nato in Roma – Trastevere il 15/05/1954 e deceduto in Roma il 2/2/1990, è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la Basilica e ha aiutato concretamente tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana”. Fonte: “La Repubblica.it

“Che segreti ci sono dietro questa strana sepoltura?” Ci chiede e si chiede Nuzzi.

Ed è qui che facciamo un collegamento con il film di Roberto Faenza, uscito nelle sale lo scorso 6 ottobre, che ripercorre le tristi tappe della scomparsa della ragazza. La Verità sta in cielo infatti, basandosi solo su carte giudiziarie, documenti ed indagini svolte con la preziosa collaborazione della giornalista Rai Raffaella Notariale, traccia il filo del rapimento dando risalto proprio alle modalità che hanno portato alla sepultura del testaccino in Sant’Apollinare: con le ricchezze vaticane sullo sfondo, si intrecciano confidenze, politica, servizi segreti e trattative. Proprio come quella che la scena finale del film ci racconta. In un museo, ha luogo l’incontro tra il Giudice che indaga sulla scomparsa di Emanuela e un Monsignore. Il prelato, nell’evidenziare l’imbarazzo di tutto il Vaticano  scaturito dall’insolita sepoltura di Renatino in Sant’Apollinare, spiega di non voler/poter procedere con l’azione dello spostamento della tomba. Risulterebbe motivo di altri pettegolezzi e dicerie di cui la Santa Sede proprio non ha bisogno. Chiede invece al Magistrato di far operare alla Procura di Roma tale iniziativa. In cambio, avrebbe dato al Giudice un dossier secretato in Vaticano sul rapimento di Emanuela. Alla domanda “Allora nel dossier c’è scritto chi ha rapito e ucciso Emanuela Orlandi?” il monsignore declina “non dico questo, ma avrete le risposte a molte domande”. Capaldo intervistato dalle testate giornalistiche subito dopo l’uscita del film, non conferma e non smentisce che ciò sia avvenuto davvero. Resta il fatto che il dossier esiste, ed è tenuto nascosto da più di 33 anni. Trattative, quindi. Gianluigi Nuzzi prorompe: “I segreti per vivere, e soprattutto far sopravvivere un sistema di potere, hanno bisogno delle trattative. La trattativa riservata garantisce il potere e l’illegalità”.

Quanti i processi fatti senza destare scalpore di cui non siamo a conoscenza, quanti segreti tenuti nascosti per non destare scalpore fra i cattolici? Uno fra tutti quello in corso in cui è indagato proprio quell’Angelo Caloia di cui abbiamo parlato che, che al Comando dello IOR dopo Marcinkus si era seduto al fianco di De Bonis, referente di Luigi Bisignani, per “pulire” i soldi dei conti dello IOR, e che fu cacciato da Ratzinger successivamente alla pubblicazione del libro di Nuzzi, nel settembre 2009. “Non è certo per il mio libro” conclude Nuzzi “che si è iniziata a far pulizia nel Vaticano, prima con Benedetto XVI e poi con Papa Bergoglio”. Certo è però che le commissioni di inchieste interne che si sono succedute non hanno cercato di fare chiarezza realmente dopo lo scandalo Vatileaks. Non ci si è preoccupati di smentire,  ma al contrario si è fatto un processo ai giornalisti (fra cui lo stesso Nuzzi) che hanno portato alla luce un mondo nascosto di cui i documenti trafugati parlano, e si sono condannati i “traditori” della Santa Sede (come il maggiordomo di Ratzinger, e perseguiti coloro che volevano rendere note tali nefandezze.

Il quadro raccontato magistralmente dal giornalista ci fa solo riflettere sul fatto che la Fede non può essere oggetto di trattativa.

Questo mondo nascosto che ci rivela è pieno di sudiciume. La convinzione questa mia, da cattolica ma anche da semplice cittadina, è che tutto ciò può essere solo un male per la Chiesa. E la speranza, sempre mia, è che si faccia luce una volta per tutte su quel dossier secretato da 33 anni e custodito chissà in quale stanza vaticana.

L’aspettativa è che si faccia presto, che si riaprano le indagini e si arrivi a quella verità nascosta prima che sia troppo tardi, prima cha qualcuno se la porti nella tomba. L’esistenza di quei segreti e di tutto il marcio che c’è dietro questa amara vicenda, sono ormai chiari a tutti. La famiglia di Emanuela è ancora giustamente troppo assetata di giustizia pulita. La Verità sarà in cielo solo quando la terra la libererà.

 

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5 Risposte a “Gianluigi Nuzzi: “L’italia e il segreto: dai grandi gialli al Vaticano””

  1. [Admin]
    Dagli atti Roberto Calvi – Sulle cause della morte – P.G. 03.05.2010
    Sul mancato ritrovamento di resti o tracce d’inchiostro inerenti al rilievo delle impronte digitali sul cadavere di Roberto CALVI

    In ordine a questo rilievo mosso dalla difesa vanno osservate le seguenti circostanze rilevanti. L’inchiostrazione delle dita che per prassi si esegue quando si devono registrare le impronte digitali di un dato soggetto (anche allo stato di cadavere) coinvolge solo la cute dei polpastrelli. Quest’ultima, però, non è stata prelevata nel caso in questione, per le ragioni procedurali descritte nella perizia antropologica e connesse alla necessità procedurale di doversi (ove possibile) conservare la cute dei polpastrelli assieme al cadavere (vedi pagg. 197, 198 e 199, tras. ud. 25.01.2006, vedi all. n. 1). Si riporta il relativo brano della deposizione del professore Luigi CAPASSO.

    AVV. BORZONE: Senta, avete trovato tracce chimiche di inchiostro sui polpastrelli e sotto le unghie delle mani di CALVI ROBERTO?

    INTERPRETE: sui frammenti di cute no.

    AVV. BORZONE: ho chiesto anche sui polpastrelli e sotto le unghie.

    CAPASSO L.: i polpastrelli non sono stati analizzati, perché nella procedura, diciamo così, che si mette in atto in questi casi, il prelievo delle lamine ungueali prevede una procedura standard che è quella di lasciare le impronte digitali della persona all’interno del corpo, quindi il nostro prelievo ha tenuto conto, questo lo abbiamo detto nel verbale di autopsia, anzi, era un incidente probatorio, quindi il prelievo delle lamine ungueale non è che sono state strappate le unghie, è stata praticata una sezione lungo la falange in modo tale da lasciare il polpastrello sul posto e prendere quindi soltanto la parte distale della parte dorsale del… dell’ultimo tratto del dito, quindi i polpastrelli non sono stati a posta, cioè perché noi cercavamo le tracce di impatti e che sono quelle più persistenti e che hanno minore… Maggiore probabilità di persistere nel tempo.

    AVV. BORZONE: sa se a CALVI sono state prese dopo la morte le impronte digitali?

    CAPASSO L.: sì, lo sappiamo, sono state prese le impronte digitali.

    AVV. BORZONE: sui frammenti di cute, questa volta che avete esaminato c’erano tracce di inchiostro?

    VOCI: (in sottofondo).

    CAPASSO L.: sì, ma i frammenti vengono dalla parte palmare della… delle mani, quindi… e comunque non abbiamo trovato tracce di inchiostro.

    AVV. BORZONE: sa, se dopo la assunzione di impronte digitali le mani vengano pulite o meno da parte di coloro i quali effettuano l’acquisizione delle impronte?

    INTERPRETE: (…).

    BRINKMANN B.: (…).

    INTERPRETE: con le persone in vita sì.

    AVV. BORZONE: quindi lei presuppone che le tracce… l’inchiostro sulle mani di CALVI sia ancora presente?

    CAPASSO L.: sì, io guardi, non so se… cioè le nostre analisi non hanno trovato tracce di sostanze chimiche che possono fare riferimento ad inchiostro, perché evidentemente noi abbiamo analizzato parti che normalmente non sono inchiostrate, come la cute al centro del palmo della mano e quindi la parte centrale palmare che fa riferimento a reperti conservati a MILANO e le unghie e quindi le lamine ungueali e gli spazi subungueali, in queste… in questi materiali soprattutto sulle unghie noi abbiamo trovato tracce di materiali cristallini di tipo organico che richiamano a fosfati come è detto nella relazione peritali, questo fosfati sono però… potrebbero anche derivare da inchiostri, potrebbero anche derivare da inchiostri ma… ma molto più probabilmente derivano dall’azione, dall’interazione fra la formalina e alcune componenti organiche della cute e dei liquidi organici. Stiamo parlando di tracce naturalmente minimali, no?

    Ne consegue che gli esami fatti nell’ambito della perizia antropologica del Prof. Luigi CAPASSO sono stati concentrati sugli spazi sub-ungueali e sulle lamine ungueali. Non vi è ragione di credere che queste regioni anatomiche siano venute a contatto con l’inchiostro e non sorprende, perciò, che tracce d’inchiostro non siano state trovate in dette regioni. La scelta di analizzare proprio gli spazi sub-ungueli e le lamine ungueali è stata dettata proprio dal sapere che – in linea teorica, ma anche nell’esperienza pratica, lavaggi e nettature delle estremità tendono ad asportare le sostanze con le quali le nostre mani entrano in contatto nel corso dei normali processi di manipolazione, ma queste sostanze permangono anche dopo lavaggi ripetuti proprio negli spazi sub-ungueali.

    In detti spazi sub-ungueali e sulle lamine ungueali stesse non sono state trovate tracce di sostanze estranee al corpo di Roberto CALVI e pertinenti a:

    1) la ruggine dell’impalcatura;

    2) le vernici (di cinque tipi diversi) presenti sull’impalcatura;

    3) il cemento che incrostava parte dei tubolari dell’impalcatura stessa;

    4) nessuna delle “pietre” rinvenute nelle tasche della giacca, in quelle dei pantaloni nel cavallo dei pantaloni di Roberto CALVI (in realtà, trattavasi di due frammenti di calcare, due frammenti di mattoni e un frammento di roccia basaltica). Tutte queste sostanze che, nell’ipotesi suicidiaria, CALVI avrebbe maneggiato nell’imminenza della morte non sono state trovate né negli spazi sub-ungueali, né sulle lamine ungueali, nonostante ciascuna di queste sostanze abbia una composizione molto caratteristica e facilmente riconoscibile. Da ciò possono effettivamente effettuarsi due deduzioni ugualmente probabili, vale a dire:

    o le suddette sostanze sono state allontanate a causa di lavaggi e trattamenti ai quali il cadavere è stato sottoposto;
    o la persona ancora in vita effettivamente non maneggiò e non entrò mai in contatto con nessuna di dette sostanze.

    La prima delle due precedenti ipotesi deve escludersi, in quanto sulle lamine ungueali del cadavere di Roberto CALVI è stata trovata una sostanza, chimicamente chiamata fillosilicato di magnesio, volgarmente nota come “pietra serpentina”, la quale è completamente estranea allo scenario e al contesto nel quale il cadavere di CALVI è stato trovato.

    Allora la questione che si pone conclusivamente è la seguente: non è possibile ammettere che lavaggi e nettamenti del cadavere (e, in particolare, delle mani) siano serviti ad allontanare tutte le sostanze e le tracce di sostanze inerenti le “pietre” e l’impalcatura (incluse le vernici a essa aderenti), mentre, al contempo, gli stessi lavaggi abbiano consentito la persistenza sul cadavere di una sostanza che non era presente nel circondario del cadavere stesso.

    Stante queste osservazioni, l’unica spiegazione compatibile è che CALVI non maneggiò mai nessuna delle “pietre” e non entrò mai in contatto con l’impalcatura; invece, le sue mani entrarono in contatto con elementi caratteristici di un cantiere edile, come sono proprio i frammenti di pietra serpentina, una pietra ornamentale molto usata come rivestimento di zoccolature in ambienti comuni (ingressi di palazzi e simili).
    Sulla possibilità che le lesioni ungueali del cadavere di Roberto CALVI derivino da impatti passivi con il supporto/pavimento sul quale il cadavere fu adagiato subito dopo il suo recupero

    In ordine a questo rilievo mosso dalla difesa vanno osservate le seguenti circostanze rilevanti. Non c’è dubbio che lesioni riscontrate sulle lamine ungueali di Roberto CALVI si siano realizzate passivamente. Dimostrano quest’asserzione le seguenti considerazioni:

    1) le lesioni non sono prevalenti a carico della mano prevalente (CALVI era mancino e se le lesioni ungueali fossero state causate da attività di manipolazione volontaria, sarebbero più frequenti a sinistra, mentre sono presenti con uguale frequenza nei due lati, vedi pag. 27, trasc. ud. 24.11.2006, deposizione del prof. Luigi CAPASSO – vedi all. n. 2);

    2) nessuna lesione attraversa il margine libero ungueale (vedi pag. 26, trasc. ud. del 24.1.2006 – vedi all. n. 2), il che dimostra che esse non si sono prodotte a causa d’impatti volontari con substrato duro, ma per trascinamenti delle unghie su substrati duri;

    3) le lesioni non sono prevalenti nelle dita coinvolte nelle azioni di presa (pollice, indice e medio), ma coinvolgono anche anulare e mignolo, dita non coinvolte nelle azioni di presa volontaria.

    Le osservazioni di cui al punto precedente ci dimostrano che CALVI si procurò le gravi lesioni traumatiche delle sue unghie in maniera passiva e non attiva. Dunque, non manipolò oggetti più duri delle sue unghie, come sono necessariamente le strutture dell’impalcatura o le cosiddette “pietre”.

    Le osservazioni suddette, che sono tutte di ordine topografico (cioè posizione delle lesioni nell’ambito della singola lamina, nell’ambito delle dita della mano e nell’ambito relativo delle due mani), indicano la passività della loro origine, ma non danno alcuna informazione sulla loro cronologia. Infatti, nessuna delle osservazioni precedenti fornisce indicazioni in ordine a quando le lesioni si produssero; per ottenere queste indicazioni, occorre considerare gli ulteriori seguenti fatti.

    Le lesioni traumatiche si presentano come profondi graffi sul dorso delle lamine ungueali (vedi pag. 24 – 28, trasc. ud. 24.1.2006 – vedi all. n. 2). Quando si verificano graffi del genere, come a esempio nel caso in cui una nostra unghia impatti accidentalmente con un corpo più duro, allora si crea una sorta di graffio profondo i cui margini sono netti, circondati da laminette di sostanza ungueale acuminate, triangolari. Da questo momento i margini di questi graffi tendono ad arrotondarsi per abrasione. Infatti, le normali attività quotidiane nelle quali le nostre mani sono coinvolte, tendono a smussare i margini dei graffi. Il lavaggio delle mani, il loro strofinio anche con materiali morbidi, come tessuti e altra cute, tende ad arrotondare i margini delle lesioni. Ecco perché è possibile con certezza calcolare quanto tempo prima della morte si sono prodotti questo genere di graffi. Le lesioni osservate sulle unghie di CALVI si produssero poco tempo prima della sua morte, proprio perché non vi sono tracce di abrasione dei margini. Ciononostante, è anche possibile che le lesioni traumatiche delle unghie si siano prodotte anche nelle circostanze della morte, ovvero anche dopo la morte. Pertanto, l’obiezione che suppone che le descritte lesioni si siano prodotte per trascinamento del cadavere su un supporto duro, o anche su un pavimento rugoso di materiale duro (cemento, metallo), è un’obiezione astrattamente pertinente, anche se essa non è, in concreto, ammissibile a causa della circostanza rappresentata al punto successivo.

    Sul fondo di una delle citate lesioni, infatti, è stata documentata una diatomea (vedi pag. 25 e 26, trasc.ud. 24.1.2006 – vedi all. n. 2): microrganismo vivente tipicamente nell’acqua dolce fluviale (peraltro, proprio le diatomee sono state impiegate per stabilire quale livello avesse raggiunto l’acqua del Tamigi a contatto dei pantaloni indossati dal cadavere). La presenza della diatomea indica con chiarezza che l’unica sequenza possibile è la seguente: lesione traumatica delle lamine ungueali; contatto delle mani con l’acqua del Tamigi; prelievo del cadavere e suo trascinamento all’asciutto. E’ per questo motivo che, pur ammettendo per assurdo che le lesioni traumatiche ungueali siano state causate dal trascinamento del corpo su un pavimento duro (come si vede in una celebre foto del cadavere adagiato su un supporto nell’immediatezza del suo rinvenimento), non si spiegherebbe in questo caso come e per quale motivo l’acqua del Tamigi abbia poi potuto venire a contatto con le mani del cadavere portato all’asciutto. Inoltre, avverso questa fantasiosa ricostruzione, sta anche il fatto che nessuna traccia di cemento o di ferro o di altra materia dura è stata trovata nelle lesioni, mentre nelle lesioni (come ricordato in precedenza) sono state trovate tracce di pietra serpentina, un materiale nobile e pregiato, impiegato per rivestimenti murali di ambienti lussuosi e frequentemente impiegato nella costruzione di palazzi del centro londinese.

    Non c’è dubbio, quindi, che le lesioni ungueali siano passive, siano intervenute nelle circostanze dell’omicidio e si siano verificate prima che le mani del cadavere prendessero contatto con l’acqua del Tamigi e non quando il cadavere fu portato all’asciutto.
    Sull’impronta di tubo rinvenuta sotto le scarpe riferita da FACEY

    Con riferimento a tale profilo posto a sostegno delle argomentazioni difensive va rilevato quanto segue. Innanzitutto, va sottolineato che quanto riferito da FACEY conduce al ridicolo e dimostra ancora una volta l’approssimazione degli accertamenti svolti in Gran Bretagna.

    Questi solo in dibattimento ha ricondotto, in via ipotetica, i danneggiamenti del fiosso sulle suole delle scarpe al contatto con un tubo o sbarra. Si tratta di una corbelleria perché sono superfici lisce che non lasciano impronte. Ha, però, evidenziato, sulla suola delle scarpe, danneggiamenti ricondotti all’aver percorso un terreno accidentato. Va, in proposito, riportato il brano della deposizione:

    PRESIDENTE: no, perché l’Interprete ha parlato, ha detto ad un certo punto, appunto, anche di un tubo, un tubo o sbarra.

    AVV.DE CATALDO: e va bene, ma se abbiamo l’opportunità di chiarirlo questo chiariamolo subito Presidente.

    P.M. TESCAROLI: però io chiedo…

    PRESIDENTE: è questo che stavo cercando di fare.

    P.M. TESCAROLI: …io chiedo però che intanto venga fatta la contestazione così come è stata presentata dal Pubblico Ministero, e che se il teste ricorda quello che gli è stato letto, se ci dà delle spiegazioni in ordine a quello che ha dichiarato.

    INTERPRETE: okay! (…).

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: sì.

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: la cosa importante in questa mia aggiunta…

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: …gli è stato chiesto di lavorare di più su quello che lui diceva otto o nove anni prima.

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: e la questione che aveva bisogno di elaborazione era questa…

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: …il danno effettivamente alla suola della scarpa.

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: perché questo danno ha dimostrato che il Signor CALVI aveva camminato su terreno irregolare.

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: l’altro danno vicino al tacco…

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: …non sembrava importante in quel momento.

    P.M. TESCAROLI: sì, ma il problema è che lei ha dichiarato queste cose che le ho contestato dopo che le è stato richiesto di fare l’approfondimento, quindi lei non ha mai parlato nel corso delle sue indagini di questa possibile riconducibilità dei danneggiamenti sulle suole all’aver posto la scarpa su un tubo.

    INTERPRETE: (…).

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: no, perché questo non era importante.

    PRESIDENTE: sì, ma ce lo chiarisca adesso, dico, ha parlato di tubo effettivamente, cioè è possibile che quei danni siano stati provocati da un tubo, cioè il tubo inteso come simile a quello dell’impalcatura, insomma, cioè ad una superficie rotonda?

    INTERPRETE: (…).

    FACEY O. E.: (…).

    INTERPRETE: sì, è possibile, poteva essere provocato appunto dal camminare su questo, mettendo i piedi su questo tubo.

    P.M. TESCAROLI: guardi, queste scarpe, io le dico questo, che quanto lei dice appare inverosimile, ma anche sotto il profilo logico…

    INTERPRETE: (…).

    P.M. TESCAROLI: …ma al di là di questo, io le debbo dire che queste scarpe sono state esaminate da un Collegio di Periti…

    INTERPRETE: (…).

    P.M. TESCAROLI: …e i Periti hanno visto che vi sono una serie di graffi in corrispondenza…

    INTERPRETE: (…).

    P.M. TESCAROLI: …del fiosso…

    INTERPRETE: (…).

    P.M. TESCAROLI: …che lei non ha evidenziato, non ha segnalato nelle sue dichiarazioni…

    INTERPRETE: (…).

    P.M. TESCAROLI: …ed hanno posto in rilievo che questi numerosi… queste numerose lesioni che sono state riscontrate sulle suole delle scarpe, sono riconducili a movimenti rotatori di questo tipo, veda il gesto delle mie mani…

    INTERPRETE: (…).

    P.M. TESCAROLI: …e quindi da uno sfregamento di questo tipo, certamente non questa cosa, questi danneggiamenti non sono possibili con riferimenti a corpi lisci, ma solo con riferimento a corpi ruvidi che possono cagionare questo tipo di lesioni e che sono ben altri rispetto a quelle… a quel segno di cui sta parlando lei adesso.

    INTERPRETE: (…).

    AVV. BORZONE: però Presidente, scusi! Questa non è la verità assoluta, diciamo, questo voglio dire…

    P.M. TESCAROLI: ma ci sono questi segni che non ha evidenziato.

    AVV. BORZONE: voglio dire, non…

    PRESIDENTE: cerchiamo anche di ragionare con buonsenso, perché se no veramente andiamo completamente fuori il binario logico. E’ mai possibile, o ci dice che ci sono dei punti dell’impalcatura che hanno dei pezzoni di metallo sporgenti?

    P.M. TESCAROLI: no, non traduca però.

    AVV. BORZONE: perché non deve tradurre, non ho capito.

    PRESIDENTE: sì, adesso poi gliela riformula la domanda, sto cercando di spiegare, è chiaro che non può un danno di quel genere… (vedi pag. 22-25, trasc. 10.5.2006 – vedi all. n. 3).

  2. Ero presente al suo intervento. È stata una serata ricca di notizie e di argomenti. Alcune conosciute, altre no. Lui molto bravo, un vero giornalista scrupoloso. Ha fatto collegamenti e ricostruzioni che occorre approfondire.

  3. Articolo non più in rete che trascrivo per le parti di interesse col caso Orlandi (http://www.ilquotidianodellabasilicata.it/news/cronache/742176/Camaldo-e-il-caso-Orlandi-.html)

    Camaldo e il caso Orlandi
    Nuzzi chiama in causa l’alto prelato lucano
    La sua storia è diventata negli anni sempre più controversa e nelle ricostruzioni uscite anno dopo anno sono stati ritenuti coinvolti, via via, lo stesso Vaticano, lo Stato italiano, ma anche lo Ior, il Banco Ambrosiano, la Banda della Magliana, servizi segreti di più Paesi

    di ALESSIA GIAMMARIA

    Camaldo e il caso OrlandiNuzzi chiama in causa l’alto prelato lucano
    Il giornalista Gianluigi Nuzzi
    POTENZA – Due o tre persone in Vaticano saprebbero che fine ha fatto Emanuela Orlandi. Una di queste è monsignor Franco Camaldo, nato a Lagonegro.

    Questo in sintesi quanto ha affermato, senza giri di parole, Gianluigi Nuzzi venerdì sera in apertura della puntata di “Quarto grado”, la trasmissione di Rete 4 da lui condotta.

    Una puntata – filo conduttore “Via crucis” (titolo dell’ultimo libro scritto proprio da Nuzzi n.d.r.) – che si è aperta proprio con quanto scritto dal giornalista in merito al caso di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana scomparsa nel nulla il 22 giugno del 1983.

    Un caso, quello di Emanuela Orlandi, da 32 anni avvolto nel mistero.

    Ed ecco che Nuzzi, venerdì sera, ha parlato del giallo all’ombra di San Pietro e della recente archiviazione delle indagini.
    La Basilica di Sant’Apollinare, la tomba di Enrico De Pedis, boss della Banda della Magliana, organizzazione criminale che per decenni gestì il malaffare a Roma, e una rete inestricabile di misteri, falsi testimoni e depistaggi ad oggi insoluti. Fino a quando non ha pronunciato il nome del monsignor lucano Franco Camaldo, per 15 anni segretario particolare del vicario di Roma, cardinal Ugo Poletti, nonché decano dei cerimonieri pontifici (cioè dei prelati che assistono il Papa nelle funzioni religiose n.d.r.) fino a quando al soglio di Pietro non è salito Josè Maria Bergoglio.

    Come lucano era don Donato De Bonis, braccio destro di Paul Marcinkus, passato alla storia come il “banchiere di Dio”.
    Quello di Camaldo non è un nome nuovo per le inchieste giudiziare: quella di Perugia sui lavori per il G8 e quella del 2013 sui preti pedofili in Vaticano.

    E proprio il suo stretto legame con Ugo Poletti – quest’ultimo il 10 marzo 1990 rilasciò il “nulla osta” della Santa Sede alla tumulazione della salma di De Pedis, nella Basilica di Sant’Apollinare – è alla base di quanto affermato da Nuzzi che sarebbe convinto che la scomparsa di Emanuela Orlandi sia legata a festini a luci rosse all’ombra del Cupolone.

    A onor del vero nel 2006 Camaldo finì in nell’inchiesta “Savoia gate” dell’allora sostituto procuratore della Repubblica di Potenza Woodcock – oggi in servizio a Napoli – che lo ascoltò, in qualità di testimone, anche in relazione alla vicenda di Emanuela Orlandi. Seguendo un percorso tortuoso che partiva da Vittorio Emanuele II e si dipana fin dentro le segrete stanze vaticane, il pm anglo napoletano all’epoca si interessò a un “dettaglio” – su cui poi lavorò la Procura di Roma – di non poco conto: ovvero sul perché De Pedis, era stato tumulato in una cripta di quella chiesa di Sant’Apollinare. L’interesse di Woodcock prese il là proprio da alcune dichiarazioni di Pizza, nome in codice “Polifemo”, sulla guerre fra logge massoniche e sul legame tra il Vicariato e il defunto faccendiere Giorgio Rubolino, coinvolto (e poi prosciolto) nelle inchieste sulla morte del giornalista Angelo Siani e su una truffa da 120 milioni di sterline ai danni della cattedrale di San Paolo a Londra.

    Più noto il caso della Orlandi, anche per il fatto che era una cittadina vaticana, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia. La sua storia è diventata negli anni sempre più controversa e nelle ricostruzioni uscite anno dopo anno sono stati ritenuti coinvolti, via via, lo stesso Vaticano, lo Stato italiano, ma anche lo Ior, il Banco Ambrosiano, la Banda della Magliana, servizi segreti di più Paesi. Dopo le prime inchieste finite in un nulla di fatto la Procura di Roma aprì un nuovo fascicolo dopo un’intervista a Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano e soprattutto compagna di De Pedis nel periodo della scomparsa di Emanuela Orlandi. Secondo quanto riferì la Minardi, il rapimento della ragazzina fu opera dello stesso De Pedis su ordine di monsignor Paul Marcinkus, presidente dello Ior per 18 anni, per “dare un messaggio a qualcuno sopra di loro”. Anni dopo la ricostruzione fu confermata da Antonio Mancini, altro componente della Banda della Magliana, che – intervistato dalla Stampa – dichiarò che il sequestro da parte della banda fu necessario per “ottenere la restituzione del denaro investito nello Ior attraverso il Banco Ambrosiano”.
    Domenica 08 Novembre 2015 07:23

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